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L’espansione del Regno dalla Sicilia

See the original post in English.

Da un po’ di tempo pensavo che fosse importante scrivere in modo più dettagliato le ragioni dell’espansione del lavoro di Agape Bici, un progetto che abbiamo intrapreso negli ultimi mesi. Ho pensato che avrei potuto provare a scrivere diversi post, ma più ho iniziato a scrivere, più penso che sarebbe meglio se creassi semplicemente un post più lungo qui per esporre tutto il mio pensiero in una sola pagina. In questo modo, spero di creare un insieme coeso di pensieri tra tutte le varie parti che ho in mente, invece di tentare di mettere insieme diverse parti in un insieme coeso. Vediamo come andrà a finire… 😉

Se stai leggendo quello che ho scritto e vuoi passare a una certa parte, ecco una serie di link che ti permetteranno di andare alla sezione che vuoi leggere:

Credo che il punto di partenza migliore sia fare un passo indietro e parlare della missione generale di Search Party e di ciò che stiamo cercando di fare qui in Sicilia e oltre. Partiamo dal motivo per cui siamo venuti qui.

La situazione

Nel 2015, un mio amico mi ha fatto conoscere la crisi dei rifugiati nel Mediterraneo, dove persone provenienti da tutta l’Africa, dal Medio Oriente e dall’Asia stavano arrivando in Europa attraverso varie rotte e porti. Molti di loro passavano dalla Libia utilizzando vecchie barche da pesca che i contrabbandieri e i trafficanti di esseri umani prendevano per portare le persone in Europa. Prendevano i soldi delle persone, promettendo loro una vita migliore in Europa, e le mettevano in mare con poco più che una speranza e una preghiera.

Per darti un’idea di ciò di cui sto parlando, potresti trovare interessanti questi articoli e video:

What’s Behind the Surge in Refugees Crossing the Mediterranean Sea? (New York Times, May 2015)

60 Minutes – 2015 aprile

Anche se entrambi gli articoli dei media risalgono al 2015, la situazione continua ancora oggi. Ecco l’ultima situazione in Italia secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Vedrete che anche l’anno scorso, il 2023, è stato il più alto degli ultimi anni, dopo che il governo aveva adottato misure significative, comprese quelle definite “ballare con il diavolo“, nel tentativo di fermare o rallentare significativamente il flusso di migranti in arrivo in Europa.

Il nostro arrivo e il nostro lavoro

Arrivando in Europa, ci siamo resi conto che c’erano pochi operai che si occupavano della situazione in Sicilia e nell’Italia meridionale, e ancora meno che consideravano le questioni spirituali che questa situazione avrebbe presentato. Così, venendo in Sicilia, abbiamo cercato di guardare a questa situazione di rifugiati con gli occhi dell’apostolo Paolo quando disse quanto segue agli Ateniesi:

Egli ha tratto da uno solo tutte le nazioni degli uomini perché abitino su tutta la faccia della terra, avendo determinato le epoche loro assegnate e i confini della loro abitazione, affinché cerchino Dio, se mai giungano a trovarlo, come a tastoni, benché egli non sia lontano da ciascuno di noi. Difatti in lui viviamo, ci muoviamo e siamo, come anche alcuni vostri poeti hanno detto: “Poiché siamo anche sua discendenza”.

Atti 17:26-28

Nel caso della crisi dei rifugiati del Mediterraneo, come in molti altri movimenti di persone in tutto il mondo, vediamo che le linee di confine di cui parlava Paolo si stanno spostando e, pensando a queste situazioni, ci siamo chiesti il perché. Ci sono diverse ragioni, naturalmente, tra cui la guerra, la povertà, la fame e il semplice desiderio di una vita migliore, ma ci siamo resi conto che se non avessimo considerato ciò che Paolo ha detto qui in Atti 17, ci saremmo persi qualcosa di importante, anzi, di fondamentale.

Paolo dice che Dio ha segnato i tempi stabiliti nella storia per tutti i popoli affinché lo conoscano, lo cerchino, lo trovino. Dio non è lontano, ma mette le persone intorno a noi per aiutarci a trovarlo.

E allora, cosa sta succedendo nel caso della crisi dei rifugiati? Le linee di confine si stanno spostando. E perché? Crediamo che sia perché Dio stesso si sta facendo conoscere. Vuole che coloro che non lo conoscono lo conoscano, e quindi Dio intende usare il suo popolo per farsi conoscere.

Questo è il motivo per cui abbiamo trasferito la nostra famiglia in Sicilia nel 2016. Siamo venuti a Catania per poter essere parte di ciò che crediamo Dio stia facendo oggi nel mondo, facendosi conoscere da persone che non lo hanno conosciuto. La maggior parte delle persone che arrivano in Europa provengono da luoghi che hanno opposto resistenza al Vangelo. La maggior parte proviene da nazioni musulmane. La maggior parte proviene da quella che viene definita la finestra 10/40, e di fatto la Sicilia stessa si trova proprio all’interno di quella finestra, rendendola una posizione strategica sia dal punto di vista della migrazione di persone che entrano in Europa, sia dal punto di vista di raggiungere il resto di quella finestra.

Una nota politica

Non vorrei interrompere il flusso di ciò che sto cercando di comunicare qui, ma l’immigrazione è una questione politica importante in questo momento, quindi penso che sia importante per me prendermi un momento per affrontare l’elefante politico nella stanza, come si dice. In realtà seguo la politica abbastanza da vicino. Mi interessa e osservo i movimenti politici sia negli Stati Uniti sia dove viviamo noi, in Italia e altrove.

D’altra parte, so anche che la politica non porta mai un cambiamento vero e duraturo. Lavorare in politica o desiderare un cambiamento politico non cambia il cuore di nessuno. La politica è soprattutto potere qui sulla terra, ma questa terra sta passando. È temporanea.

Pensando alla situazione dell’immigrazione in cui ci siamo trovati qui in Sicilia, non ho potuto fare a meno di ripensare a una situazione simile che si sta verificando al confine meridionale del mio Paese negli Stati Uniti. Non la vedo come una cosa positiva. Penso che sia sbagliato permettere alle persone di infrangere le leggi di un Paese, semplicemente non facendo rispettare le leggi già scritte. Ho sempre pensato che, per quanto riguarda l’immigrazione, dovremmo avere le leggi che abbiamo e farle rispettare, oppure cambiare specificamente la legge. Non diciamo una cosa e ne facciamo un’altra.

Quindi non siamo venuti a lavorare in mezzo al flusso migratorio perché siamo necessariamente d’accordo con quello che fanno i rifugiati e gli immigrati. Non siamo d’accordo sul fatto che debbano semplicemente presentarsi sulle coste italiane e dire “siamo qui”, aspettandosi che il governo si prenda cura di loro.

Ma, d’altra parte, questo è ciò che è accaduto e continua ad accadere, e le persone sono qui. Questa è la realtà. E così, guardando a questa realtà e vedendo da dove provengono queste persone, abbiamo dovuto guardare la situazione con occhi molto diversi, gli occhi del Regno di Dio. Guardando la situazione con questa prospettiva, consideriamo la provenienza di queste persone e riconosciamo che non hanno compreso la verità su Cristo. Non hanno capito il piano di Dio per loro. Non sanno che Cristo ha già dato se stesso per loro, per strapparli dal regno delle tenebre e renderli parte del Regno di Dio.

E così, per questo motivo, siamo venuti in Sicilia e ci siamo inseriti nel flusso dell’immigrazione in Europa. Non perché ci piaccia quello che è successo e quello che sta continuando a succedere, ma perché vogliamo essere parte dell’opportunità di vedere il Regno di Dio espandersi tra i non raggiunti, coloro che non hanno mai sentito il Vangelo, in una parte strategica del mondo che ha un accesso geografico relativamente vicino e relativamente poco costoso a gran parte del resto del mondo non raggiunto.

Storia del nostro lavoro

Da quando ci siamo trasferiti a Catania, abbiamo lavorato principalmente per raggiungere gli immigrati e i rifugiati. Inoltre, però, abbiamo anche lavorato per formare e cercare italiani siciliani che lavorassero con noi, sia per raggiungere i rifugiati e gli immigrati, sia per raggiungere altri siciliani che conoscevano.

Abbiamo cercato di evangelizzare e discepolare nuovi credenti e di formare gli operatori esistenti. Abbiamo tradotto in italiano il materiale di formazione di Zume e abbiamo scritto il nostro materiale di formazione, traducendo anche quello in italiano per riflettere più da vicino il processo di discepolato che usiamo qui a Catania, basato sul processo di discepolato e di impianto di chiese dei Quattro Campi.

Abbiamo reclutato in modo massiccio operai missionari che si trasferissero in Sicilia per lavorare con noi, arrivando ad avere fino a otto famiglie diverse che lavoravano insieme, per poi ridursi, attraverso un processo e una serie di anni, a tre famiglie negli ultimi 2-3 anni. Per fare questo, abbiamo e continuiamo a gestire programmi di gruppo a breve termine e stage estivi nel tentativo di continuare a reclutare lavoratori.

La maggior parte del lavoro si è concentrata sulle camminate di preghiera, sulla condivisione del Vangelo, sul battesimo di nuovi credenti e sull’insegnamento a coloro che abbiamo raggiunto a tornare nelle loro comunità con il Vangelo.

La nostra équipe ha ora un centro nel centro di Catania dove gestiamo un negozio di biciclette, guidiamo una piccola chiesa di persone provenienti da diverse nazioni e offriamo regolarmente studi biblici e formazione al discepolato. Inoltre, i nostri compagni di squadra hanno anche un ministero di orto comunitario sia nella città di Catania che in un terreno di proprietà di una delle nostre chiese partner.

Utilizzando il nostro centro di Catania, abbiamo anche sviluppato un programma di formazione sul campo missionario per aiutare i missionari in arrivo in Italia a imparare a vivere e lavorare in modo interculturale utilizzando il processo dei Quattro Campi. Fortunatamente, Dio ci ha anche dato l’opportunità di usare il programma con altri missionari provenienti da nazioni non raggiunte, per rimandarli sul campo dopo averli addestrati a fare discepoli e a piantare chiese secondo il processo che usiamo qui a Catania.

Infine, abbiamo estensioni del nostro lavoro anche in altre parti d’Italia e stiamo lavorando per continuare a formare e inviare lavoratori, sia che si tratti di lavoratori missionari in arrivo dagli Stati Uniti o da altre nazioni anglofone, sia che si tratti di lavoratori italiani o di qualsiasi altra località.

Siamo stati veramente benedetti da ciò che abbiamo visto fare da Dio, sia in noi che attraverso di noi fino a questo momento!

La conduttura del Grande Mandato

Qualche anno fa, ho visto un video creato da Troy Cooper per la rete NoPlaceLeft e mi ha fatto pensare che questa è la visione che vorrei promuovere anche per il nostro lavoro, compresa la visione primaria di Search Party, l’organizzazione che abbiamo avviato nel 2019. Ecco il video che ha realizzato:

Il video parla dello sviluppo di un movimento di discepoli e di chiese nella nostra zona di origine, per poi inviarli nel campo successivo, dove altri gruppi di persone non raggiunte possono essere raggiunti dal Vangelo, facendo più discepoli e piantando più chiese.

Questo è ciò che crediamo che Dio voglia fare attraverso di noi. Vogliamo portare persone dal nostro Paese d’origine a lavorare con noi qui. In questo senso, stiamo creando una conduttura dalle nostre chiese d’origine ai non raggiunti dove ci troviamo.

Ma non finisce qui. Infatti, il lavoro è solo all’inizio. Da qui, infatti, vogliamo inviare i discepoli che abbiamo creato in altri campi. Lo vediamo accadere quando lanciamo i lavoratori da Catania in altre parti d’Italia e d’Europa, ma soprattutto quando lanciamo i lavoratori nel resto della finestra 10/40, dove possono essere raggiunti altri gruppi di persone non raggiunte. Qui a Catania siamo in contatto con i non raggiunti, ma possiamo raggiungere un numero ancora maggiore di persone inviando lavoratori nei Paesi d’origine delle persone che sono arrivate qui in Europa.

Il nostro desiderio è quindi quello di creare una conduttura del Grande Mandato verso Catania e di sviluppare una conduttura del Grande Mandato anche fuori da Catania. Per fare questo, crediamo che dovremo collegare insieme alcuni pezzi di un puzzle strategico, e questo mi porta al primo pezzo del puzzle: Mobilitare e preparare gli operai.

La squadra Ten:Two

In Luca, capitolo 10, Gesù invia settantadue dei suoi discepoli per annunciare e dimostrare il Regno di Dio. Questa storia mi ha sempre affascinato per il modo in cui Gesù invia i suoi discepoli, ma per i miei scopi in questo articolo voglio concentrarmi su una certa parte della storia.

Mentre Gesù inviava i discepoli, disse:

E diceva loro: «La mèsse è grande, ma gli operai sono pochi; pregate dunque il Signore della mèsse perché spinga degli operai nella sua mèsse.

Luca 10:2

Gesù stava mandando i suoi discepoli, ma la prima cosa che dice loro di fare è di pregare per avere più operai perché la messe è abbondante.

Domanda da considerare: Da dove verranno questi operai che i discepoli devono pregare?

I discepoli sono gli unici operai a questo punto. Non ci sono pastori. Non ci sono missionari. Non c’è nessun altro. Sono solo loro.

Ovviamente, l’unico posto da cui potrebbero provenire gli operai sarebbe il campo di raccolta stesso. Quindi, il campo di raccolta in cui Gesù manda i discepoli è anche la fonte degli operai.

Ora, ai nostri giorni, abbiamo pastori e missionari e molti altri tipi di lavoratori, ma la messe è ancora abbondante e gli operai sono ancora pochi. Quindi, dal nostro punto di vista, preghiamo per avere più operai e lavoriamo per prepararli e inviarli. Questo è l’obiettivo della squadra Ten:Two. Pregare per gli operai, mobilitarli e inviarli. Che vengano dagli Stati Uniti, dall’Europa o da altre aree non raggiunte… Che provengano da ambienti credenti o non credenti… Il nostro desiderio è che il Vangelo venga predicato e che vengano fatti discepoli di Gesù tra le persone di tutte le nazioni che stiamo toccando qui a Catania.

Come già detto, abbiamo avuto programmi di squadra a breve termine, programmi di tirocinio e programmi di formazione missionaria che abbiamo utilizzato in diversi contesti. Stiamo procedendo per aggregare e riunire questi programmi in una squadra che chiameremo La squadra Ten:Two, che lavorerà per pregare e mobilitare gli operai, formarli e mandarli a svolgere il lavoro. Questa sarà una parte significativa dello sviluppo della pipeline della Grande Mandato qui, continuando i programmi formalizzati per ricevere e inviare lavoratori nel campo di raccolta, e nel frattempo continuare a sviluppare discepoli a livello locale per fare lo stesso, inviandoli nel campo di raccolta di Catania, o mandandoli fuori da Catania per fare il lavoro anche altrove.

Agape Bici

Nel mezzo della liberazione dalle chiusure pandemiche del 2020, abbiamo aperto un nuovo centro comunitario nel centro di Catania. Inizialmente era la sede di diverse attività, tra cui un negozio di biciclette, ma all’inizio dell’anno scorso abbiamo deciso di concentrare i nostri sforzi per essere semplicemente – e solo – un negozio di biciclette. Da quel negozio di biciclette possiamo ovviamente svolgere altre attività, ma invece di essere conosciuti come un luogo in cui si svolgono molte attività, abbiamo deciso di trasformarlo in un’unica attività dal punto di vista di ciò che gli altri vedono.

Per questo motivo, abbiamo rimosso le pareti che separavano il negozio di biciclette dal resto del centro e abbiamo creato un unico grande negozio. In questo luogo abbiamo riparato biciclette, ricevuto biciclette in donazione per ripararle e distribuirle gratuitamente, e fatto outreach dal negozio, portando le creazioni dei nostri compagni di squadra in piazza per entrare in contatto con le persone attraverso il divertimento su “crazy bikes”, biciclette che probabilmente non dovrebbero essere in strada ma che sono divertenti da portare in piazza per provare a guidarle. Per saperne di più su ciò che abbiamo fatto finora con Agape Bici, potete visitare la nostra pagina Facebook o la galleria di immagini del sito web.

Nel corso del lavoro con il negozio di biciclette, e più in generale nel lavoro di missione che abbiamo svolto, c’è sempre stata una sfida particolare: avere i fondi necessari per poter fare ciò che il lavoro ci chiama a fare.

Da un certo punto di vista, si è trattato di una sfida solo per tenere aperto il centro, la sede fisica. Abbiamo avuto diversi donatori generosi e intendiamo certamente continuare a ricevere donazioni per continuare a espandere il lavoro che stiamo facendo, ma abbiamo anche il senso di responsabilità di cercare di capire come rendere il lavoro del negozio di biciclette autosufficiente. Invece di continuare a richiedere donazioni per avere la sede e continuare a svolgere il lavoro, riteniamo che sia giunto il momento di trovare un modo per aiutare a sostenere e supportare almeno una parte del lavoro qui in Sicilia.

Inoltre, abbiamo sempre affrontato la sfida di chiamare le persone al lavoro ministeriale, ma di costringerle a trovare il proprio sostegno per vivere. Per certi versi, lo considero un aspetto positivo, in quanto può essere parte della conferma di una chiamata a lavorare per Cristo, ma nel complesso è una vera sfida. È difficile avere qualcuno che non può mangiare e tuttavia chiamarlo a guidare l’opera nelle proprie comunità. A ciò si aggiunge il fatto che lavoriamo con immigrati e rifugiati che, nel luogo in cui viviamo, hanno una rete relazionale scarsa o nulla e non hanno un percorso ovvio per creare o gettare un’ampia rete di relazioni, date molte delle barriere culturali, linguistiche e relazionali che esistono tra la gente del posto e gli immigrati in qualsiasi luogo, e questo è certamente vero anche qui in Sicilia, dove esiste una cultura familiare relativamente chiusa che spesso è pronta ad abbracciare lo straniero in superficie, ma chiusa allo straniero a un livello più profondo.

Per questo motivo, abbiamo iniziato a valutare la possibilità che Agape Bici possa essere un modo per aiutare a sostenere il lavoro a Catania, almeno in parte, e almeno in relazione ai due punti sopra citati. Se volete saperne di più sul piano generale che abbiamo messo insieme, potete farlo da questa pagina, ma vi farò notare che mentre pregavamo, pensavamo e continuavamo a indagare, ci siamo resi conto che c’erano tre cose principali che volevamo realizzare mentre sviluppavamo Agape Bici per il futuro:

Stabilire una sede conosciuta e fidata a Catania

In Sicilia si parla spesso di “punto di riferimento”. Un luogo conosciuto dal quale si può continuare a navigare anche verso altri luoghi. Ciò che è stabilito e conosciuto è considerato affidabile.

Nel nostro lavoro iniziale, l’unica cosa conosciuta, e possibilmente affidabile, eravamo noi stessi, ma era difficile costruire una comunità, e soprattutto una comunità di pratica a partire da noi individualmente.

La cosa peggiore è che lavoriamo con persone che hanno ben poco di consolidato in termini di rapporti con la cultura locale e, se vogliamo, di rapporti con altri immigrati e rifugiati. Come osservatori esterni, spesso pensiamo che gli immigrati facciano comunità tra di loro a causa del loro comune background di provenienza da altri Paesi, ma in realtà abbiamo scoperto che all’interno di alcuni gruppi ci può essere una distanza ancora maggiore tra di loro a causa di uno spirito competitivo o della mancanza di sapere di chi fidarsi nel contesto di questa cultura nuova e straniera. Tutto è nuovo e niente è facile, quindi tutti sono in tensione.

Quando abbiamo aperto il centro nel centro di Catania, abbiamo notato che alcune delle nostre relazioni hanno iniziato a cambiare. Siamo stati in grado di sviluppare un senso di connessione e di fiducia più profondo perché si trattava di un luogo conosciuto. Era un luogo in cui le persone potevano entrare in contatto con una comunità di persone che conoscevano. Sapevano cosa potevano aspettarsi quando venivano, così sono venuti per continuare a far riparare le loro biciclette e per approfondire il loro rapporto con Cristo.

Abbiamo quindi iniziato a stabilire e sviluppare un luogo che è conosciuto nella zona e vogliamo continuare a svilupparlo ulteriormente. Vogliamo che Agape Bici sia un luogo che offra un servizio alla comunità ma che sia anche autosufficiente. Vogliamo che sia un luogo dove si riparano le biciclette, ma anche dove si creano relazioni interculturali. Vogliamo che sia un luogo in cui ci incontriamo e siamo equipaggiati nella Parola di Dio, ma anche un luogo da cui inviamo operai nel campo di raccolta.

Inoltre, riteniamo che Agape Bici sia un punto di riferimento in quanto ci permette di entrare in contatto con un maggior numero di persone. In quanto entità conosciuta e fidata nella comunità, avremo l’opportunità di raggiungere altre istituzioni della comunità usando le biciclette come piattaforma.

L’esempio che fornisco abitualmente a questo proposito è che potremo entrare in contatto con un campo profughi per offrire biciclette alle persone che vi abitano. Oppure, possiamo offrire corsi di riparazione di biciclette in inglese o in italiano per fornire ai rifugiati nuove competenze spendibili sul mercato. Oppure potremmo offrire ai rifugiati di fare un giro in bicicletta sull’Etna, per conoscere una parte della Sicilia che raramente, se non mai, hanno l’opportunità di sperimentare.

E oltre a questo, possiamo considerare anche altre opportunità. Perché non insegnare ai bambini i corsi di ciclismo? Perché non offrire programmi di doposcuola incentrati sulla bicicletta, sia in ambito fisico che scolastico? Con il personale e le risorse giuste, possiamo farlo, dandoci l’opportunità di essere non solo una forza positiva nella comunità, ma anche una forza positiva per il Vangelo, in quanto parliamo della nostra fede nel mezzo delle attività che svolgiamo.

Ma questo accesso alla comunità può avvenire solo quando si è un’entità fidata, una quantità conosciuta.

Il nostro desiderio è che Agape Bici sia un punto di riferimento per le biciclette a Catania, ma anche un punto di riferimento spirituale, dove qualcuno possa conoscere Dio ed essere attrezzato per dirlo agli altri. E per fare questo, abbiamo bisogno che Agape Bici diventi un punto di riferimento nella comunità, in modo che non ci sia solo oggi, ma anche domani e in futuro, finché Dio non vorrà chiudere quest’opera perché non è più necessaria.

Fondi sostenibili per un investimento finanziario continuo nell’espansione del Regno

Il nostro desiderio è quello di essere in grado di pagare le operazioni correnti di Agape Bici e di fornire un lavoro che aiuti a sostenere i lavoratori, i lavoratori di Agape Bici e i lavoratori del Regno.

Vogliamo che l’opera sia autosufficiente. Ciascuno degli ex lavoratori missionari continuerà a ricevere sostegno per il proprio lavoro, ma dal punto di vista dei costi operativi del lavoro sul campo, non legati al sostegno personale, il nostro desiderio è quello di essere in grado di coprire tali costi e sostenerli attraverso i fondi che ricaviamo dal contesto del lavoro stesso.

Inoltre, il nostro desiderio è di avere la possibilità di sostenere i lavoratori del Regno di Dio fornendo loro un lavoro fisico. Possiamo riparare le biciclette. Possiamo noleggiare biciclette. Possiamo insegnare corsi. E molto altro ancora… Ci sono molte cose che possiamo fare insegnando alle persone un lavoro fisico e delle abilità che possono usare per fare soldi che permetteranno loro di usare quei fondi per mantenersi mentre fanno discepoli di Cristo tra coloro che sono i meno raggiunti nel mondo.

In generale, il nostro desiderio è che i fondi che saremo in grado di raccogliere attraverso le attività del negozio di biciclette possano essere reinvestiti nell’opera del ministero qui a Catania e utilizzati per inviare persone da qui in altre località. Per noi i fondi hanno un ruolo tangibile nell’aiutare a espandere il Regno di Dio qui in Sicilia e oltre.

Creare un modello riproducibile da utilizzare in altre località

Il nostro desiderio è che questo modello possa essere costruito qui a Catania, ma che alla fine possa essere riprodotto anche in altre località. Ci sono alcuni modi in cui potremmo vedere questo accadere:

In primo luogo, potremmo immaginare la possibilità che Agape Bici apra sedi in altre città. In questo caso, se questa dovesse essere la direzione che decidiamo di prendere, potremmo aprire una filiale di Agape Bici in una nuova località, consentendo a qualcuno che è controllato e fidato e che conosce sia il modo in cui lavoriamo insieme dal punto di vista del negozio di biciclette sia la missione di ciò che stiamo cercando di fare, raggiungere i non raggiunti con il Vangelo. In questo caso, Agape Bici potrebbe essere un modo per qualcuno di prendere ciò che ha imparato lavorando a Catania e riprodurlo in altri luoghi, guadagnando un reddito e lavorando allo stesso tempo per piantare chiese nella nuova città in cui vivrà.

Una seconda possibilità, però, è quella di formare qualcuno che lavori nell’industria della bicicletta, acquisendo così le competenze necessarie per la riparazione delle biciclette e per la gestione di un’attività commerciale, e che le utilizzi per sostenersi quando si sposterà in altre località per essere un ambasciatore di Cristo in quel nuovo luogo e con quelle persone. In effetti, abbiamo già creato e fatto alcuni tentativi iniziali di un programma di apprendistato. Il programma ha bisogno di ulteriori sviluppi e perfezionamenti, ma è qualcosa che possiamo usare in connessione con i programmi di formazione della squadra Ten:Two per preparare gli operai ad andare sul campo, dando loro un modo pratico per mantenersi mentre fanno discepoli e fondano chiese in altri luoghi.

Il nostro desiderio è quello di regalare il modello, affinché venga utilizzato per far progredire l’opera del Regno a Catania e oltre. Le biciclette sono utilizzate ovunque e il loro uso è in continua crescita. Possiamo immaginare che lavorare nel mondo della bicicletta potrebbe essere un’abilità utile che potrebbe essere usata in modo significativo nel Regno e quindi non vediamo l’ora di vedere come Dio la userà in futuro.

Chiesa

All’inizio del 2022, abbiamo iniziato a pensare e a sognare la possibilità che Dio desse vita a una nuova chiesa che si riunisse nel negozio di biciclette. Facevamo parte della nostra chiesa italiana sponsor, ma sentivamo che era importante per noi avere una comunità ecclesiale che rappresentasse i valori che stavamo insegnando e promuovendo alle persone con cui lavoravamo, oltre a fornire un esempio di ciò che stiamo cercando di vedere impiantato anche in altri luoghi.

Prima di allora avevamo visto nascere quattro chiese distinte. Queste chiese erano guidate dalle persone a cui avevamo insegnato e che avevamo istruito, ma quando queste persone hanno lasciato la zona per trasferirsi in altri luoghi, cosa che accade spesso con i rifugiati e gli immigrati, i gruppi si sono sciolti perché il leader non c’era più.

Trasferendoci in Sicilia, non abbiamo mai avuto l’intenzione di fondare o dirigere una chiesa, ma data la situazione, e dato che avevamo bisogno di trovare un modo per dimostrare cosa significasse “chiesa” nel senso che stavamo cercando di comunicare, abbiamo deciso di andare avanti e iniziare una nuova comunità che si sarebbe riunita al negozio di biciclette la domenica sera.

Abbiamo insegnato un’idea molto semplice del significato di chiesa, con l’idea che ogni persona dovrebbe essere in grado di riprodurre la chiesa anche nel proprio contesto. Non vogliamo complicare eccessivamente l’idea di creare una chiesa. Vogliamo invece aiutare coloro a cui insegniamo ad avere un modo semplice e chiaro per guidare i propri gruppi che diventeranno chiese. Come riferimento, ecco uno strumento che usiamo spesso come visione per la nostra chiesa sana, che fornisce una visione per altre chiese sane in futuro:

La chiesa che abbiamo avviato è cresciuta lentamente, ma dal punto di vista di portare le persone nella comunità cristiana e di sperimentare quella comunità, al di là della semplice descrizione a parole, ora abbiamo un esempio attraverso il quale siamo in grado di mostrare una comunità in azione. Abbiamo molto lavoro da fare, ma stiamo andando avanti con le persone che Dio ci ha dato finora.

Il nostro obiettivo è quello di sviluppare una rete di chiese in tutta Catania, inserendo e sviluppando lavoratori nell’ambito di tale rete, per poi inviarli a fondare nuove chiese a Catania o in altre località. Crediamo che guidare una chiesa, e alla fine sviluppare una rete di chiese, ci permetterà di preparare dei leader che entrino nella vita e nell’opera di Dio qui a Catania, imparino e siano equipaggiati per fare lo stesso altrove, e poi li mandino in altre località. Queste persone possono essere americani di passaggio come missionari nell’ambito dell’addestramento sul campo, italiani che vengono a imparare e a partecipare a ciò che stiamo facendo, o immigrati e rifugiati che si trovano in Italia, essendo arrivati dall’altra parte della finestra 10/40 in Italia.

Mettere tutto insieme

Speriamo che si possa già vedere la direzione da cui siamo venuti e dove speriamo di andare. Il nostro obiettivo è quello di vedere un movimento, se non movimenti, di discepoli tra i rifugiati e gli immigrati qui in Sicilia, ma sarei certamente felice se vedessimo la stessa cosa accadere anche tra i siciliani e nel resto d’Italia, perché avremmo così le persone che potrebbero insegnare ad altri a raggiungere i rifugiati e gli immigrati. Stiamo pregando che Dio operi tra tutti loro.

Per realizzare questi obiettivi, stiamo mettendo in atto alcune componenti diverse:

Primo, la chiesa. Stabilire una chiesa che riproduca leader e riproduca chiese è fondamentale per vedere l’espansione che speriamo di vedere. Dobbiamo sapere e sperimentare come possiamo essere operatori all’interno del Regno di Dio e inviare persone all’esterno.

In secondo luogo, la mobilitazione e la formazione. La squadra Ten:Two ha lo scopo di mobilitare i lavoratori per entrare nel campo di raccolta e di insegnare loro cosa fare una volta arrivati sul posto.

In terzo luogo, la sensibilizzazione pratica, il finanziamento e il sostegno. Ci possono essere diverse risposte a questa esigenza, ma crediamo che Agape Bici possa essere una risposta significativa a questa domanda.

Credo che Agape Bici ci offra una piattaforma dalla quale possiamo raggiungere gli altri nella nostra zona e in qualsiasi area in cui potremmo portare l’organizzazione. Possiamo condividere il Vangelo, fare discepoli e piantare nuove chiese da questo punto di partenza.

Ma vogliamo anche usare il dono che Dio ci ha dato per sviluppare i finanziamenti per l’opera del Regno da portare avanti, sia che si tratti di spese per il lavoro direttamente a Catania, in altre località, sia che si tratti di aiutare a sostenere le persone che vogliamo mandare a fare il lavoro di fare discepoli e piantare chiese.

Mentre facciamo tutto questo, vediamo l’opportunità per altri operai di venire a lavorare con noi per aiutare a stabilire ulteriormente ciò che stiamo facendo e poi ricevere e inviare operai da qui a Catania in altri campi di raccolta, che siano qui in Italia, nel resto d’Europa, o oltre nel resto dei Paesi della finestra 10/40, che rappresentano i meno raggiunti del mondo.

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Next Step: Next Generation

Jesus has continued revealing himself, revealing his identity to the people, showing who he is by how he is teaching and the works that he has been doing. The people are starting to understand and have begun to follow him in large crowds. But the common man isn’t the only one who has understood. The Pharisees and religious leaders have understood as well, and now they are out to get him.

Jesus had gained a reputation for healing on the Sabbath. He was doing those things that were considered to be unlawful, according to the Jewish law, and then saying that he was the Lord of the Sabbath, as we saw in Mark chapter 2 when his disciples had taken some grains off of the stalks.

Now in chapter 3, the Pharisees had specifically come to see if Jesus would heal on the Sabbath. They wanted to catch him in the act of doing good so that they could accuse him of breaking the law. How upside-down is their thinking! It shows how much that they have truly begun to hate him.

Jesus does, in fact, heal the man. He knew what they were thinking, and in fact had the man with the shriveled hand stand up directly in front of them so that there would be nothing hidden. Jesus is challenging the Pharisees, fully knowing that it would one day cost him his life.

So it is in that context that Jesus goes on to choose his disciples. He is, on the one hand, setting himself up to be hated, and at one point soon, to be killed. Knowing this, he goes up on a mountain and calls 12 of the men out of the crowd of disciples that have been following him to come and be his closest disciples.

Jesus went up on a mountainside and called to him those he wanted, and they came to him. He appointed twelve that they might be with him and that he might send them out to preach and to have authority to drive out demons. These are the twelve he appointed: Simon (to whom he gave the name Peter), James son of Zebedee and his brother John (to them he gave the name Boanerges, which means “sons of thunder”), Andrew, Philip, Bartholomew, Matthew, Thomas, James son of Alphaeus, Thaddaeus, Simon the Zealot and Judas Iscariot, who betrayed him.

Mark 3:13-18

Jesus had a role for each of them to play. Even Judas. Jesus knew that he would betray him, and yet Jesus chose Judas to be part of the group of his closest disciples. Jesus is thinking about this next generation that will one day carry on the work that he has been doing, and that he will continue to do.

Jesus would send them to preach. They would speak on his behalf, on behalf of the Kingdom of God, to the people around him. And he gave them authority to drive out demons so that their word, that which they are preaching, would be confirmed. Now, Jesus would take them and show them how to do what he does, and would soon be sending them out to do the same work that he will do. Jesus, in the midst of the troubled time, is thinking of the next generation and how they will also be sent to see the kingdom of God continue to expand.

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Revealing Process

In these days, Muslim apologists try to poke holes in the idea that Jesus is, himself, God. They say silly things like:

Jesus never said, “I am God, worship me!”

And they say that because Jesus never said those precise words, he must therefore not be God. You see? Our logic is perfect. Jesus is not God. He is a prophet, and nothing more than a prophet!

To me, this strongly suggests that they have never actually read what Jesus did, nor what Jesus said.

I was reminded of this today as I read through Mark 2. The Pharisees and the rest of the Jewish people were trying to figure out who Jesus was. Jesus, through both his words and his actions, allowed them to see. Here are three examples in this one chapter:

First, some friends come to the house where Jesus is staying in Capernaum. They can’t get in because the crowds are so numerous that the doorway is blocked so they go up on the roof, dig a hole, and let their paralytic friend down on a mat through the hole in the roof. Jesus looks at the paralyzed man and instead of immediately healing him, Jesus tells him that his sins are forgiven.

The Pharisees who are there ask themselves, “Who is this that forgives sins. Only God can forgive sins!” And of course they are correct. Only God can forgive sins.

And yet Jesus tells the Pharisees that he wants them to know that he has this authority. Remember, only God can forgive sins, just as the Pharisees said. So what does Jesus do to prove that he has that authority? He asks whether or not it is easier to forgive sins or to tell the paralyzed man to pick up his mat and walk. And that is exactly what he was. The man is healed and he walks out of the house.

So the lesson is clear. The lesson isn’t just that Jesus can heal a paralytic. It isn’t that he was such a great teacher that there was a crowd there such that the friends couldn’t come in. The lesson is that Jesus is God! The Pharisees were exactly correct. Only God can forgive sins. And yet Jesus not only forgave them, but he also proved through the miracle that he had the authority to do so.

But I want you to know that the Son of Man has authority on earth to forgive sins.” So he said to the man, “I tell you, get up, take your mat and go home.” He got up, took his mat and walked out in full view of them all. This amazed everyone and they praised God, saying, “We have never seen anything like this!”

Mark 2:10-12

Next, let’s look at how Jesus refers to himself. With Levi, Jesus hangs out with the sinners, the tax collectors, the prostitutes. Jesus refers to them as the “sick”. Sick from what? Sick as a result of their sin. They are spiritually sick. They have the disease of sin corsing through them. But Jesus refers to himself as the doctor. He is the one who has the cure for their sickness. He is the God who can take away their sins. He is the one who can make them well.

On hearing this, Jesus said to them, “It is not the healthy who need a doctor, but the sick. I have not come to call the righteous, but sinners.”

Mark 2:17

However, Jesus doesn’t stop there. He also refers to himself as the bridegroom. When the Pharisees come to ask Jesus why his disciples don’t fast like John’s disciples, he explains that the bridegroom is here. No one fasts while the bridegroom is with them. It is time to party! It is time to celebrate.

Jesus answered, “How can the guests of the bridegroom fast while he is with them? They cannot, so long as they have him with them. But the time will come when the bridegroom will be taken from them, and on that day they will fast.

Mark 2:19-20

Why would Jesus refer to himself as the bridegroom? The people of Christ are his bride. He has come to marry himself to them.

But maybe we can understand more from the question of fasting. The disciples and the Pharisees fast in their devotion to God. They take time to focus upon the Lord, not upon themselves and on their own needs, but upon God.

But if the bridegroom is with them, and we are referring to Jesus who is with the disciples, and the disciples are in question because of their lack of fasting, Jesus is saying that they don’t have to fast because the bridegroom is with them! God is there in their midst!

Now, finally, Jesus is questioned as to why his disciples are doing what is unlawful on the Sabbath. Jesus points out that even David and his men did what was unlawful by eating the bread in the temple that was dedicated to God. That was considered to be unlawful as well, and yet they were celebrated for what they had done.

So Jesus says that the Sabbath is intended to serve the people, not the people to serve the sabbath. The Sabbath should give rest, but if the people can’t eat, we shouldn’t be slaves to the Sabbath. In other words, you do not simply follow rules thinking that you are going to please God by following the rules. There is a need, in this case, a need to eat. The Sabbath should not stop them from eating.

Jesus is, though, even more pointed in his explanation. He says that he, himself, is the Lord of the Sabbath.

Let’s remember where the Sabbath came from. First, God had rested on the seventh day, a rest that continues to this day. That seventh day never ended.

Then, God commanded the Israelites in the midst of the 10 Commandments to remember the Sabbath day and to keep it holy. The Israelites were commanded to do no work on that day. It was to be only a day of rest.

So keeping the Sabbath was commanded by God. But now, Jesus says he is the Lord of the Sabbath. He is the Lord over a command that was given by God? Yes, because he is, himself, God.

Then he said to them, “The Sabbath was made for man, not man for the Sabbath. So the Son of Man is Lord even of the Sabbath.”

Mark 2:27-28

Should we think that, in our feeble minds, we can come up with arguments that suggest that because Jesus didn’t say exactly what I think he should have said, he is therefore not God? No, that makes no sense. In fact, let’s think about what would have happened. Imagine that Jesus does exactly what Muslims suggest that he should have done, saying:

I am God, worship me!

Immediately, Jesus would have been taken for a crazy man, or a blasphemer, or both. He would have no credibility. No opportunity to do what he was actually there to do. He wouldn’t be able to teach his disciples. His timing would have been man’s timing for his death, not God’s timing. That would have been pretty silly and worthy of a lot of doubt…exactly how we should think about our Muslim friend’s arguments.

Instead, Jesus is revealing himself to the people. Those who had eyes to see and ears to hear would be able to do so. They would be able to see Jesus’s miracles, hear that he was giving forgiveness to sinners, and understand that he had the authority to do all of these things. May God forgive us for placing our own expectations upon Jesus.

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Stay Focused

Jesus was beginning to get some notoriety. He had healed Peter’s mother-in-law there in Capernaum and when word of what had happened got out, the news began to spread. The people of the town and around the area lining up at the door of the house where he was staying and now it was on. Jesus’s fame was beginning to spread and he could start to build his ministry.

But after having healed all of those people and going to bed for the night, Jesus gets up early in the morning and goes away to pray. He needs to hear from the Father. He needs to talk about what he has seen and determine the next steps. The ministry could really begin to grow here in Capernaum. What should he do?

In the meantime, the disciples come looking for him. The people had been looking for Jesus, so they came to fetch him. After some time, they do finally find him, but what does Jesus tell them that he will do? He says exactly the opposite of what they are expecting: It is time to leave.

Very early in the morning, while it was still dark, Jesus got up, left the house and went off to a solitary place, where he prayed. Simon and his companions went to look for him, and when they found him, they exclaimed: “Everyone is looking for you!”

Jesus replied, “Let us go somewhere else—to the nearby villages—so I can preach there also. That is why I have come.” So he traveled throughout Galilee, preaching in their synagogues and driving out demons.

Mark 1:35-39

The disciples had better get used to this. Jesus will rarely do what they think that he should do. He has work to do that they don’t really understand. He has priorities that they most certainly don’t understand. The disciples are in for a wild ride, one that will be quite confusing for them.

It is clear that God’s priorities are different than man’s priorities. Jesus is God and he is thinking differently than all of the men around him. They are thinking that they need to set up their ministry, open their shop, make a name for themselves with this teacher that not only speaks with authority, but heals people with a word of the touch of his hand. Jackpot!

But Jesus’s priority is that all will hear. He doesn’t care about crowds of people. He cares about all people. Capernaum is not enough. Others must hear as well. One city seems like enough to the disciples, but for Jesus, it isn’t enough until the news of the kingdom of God goes everywhere.

We also have the same tendencies and temptations as the disciples. We have been given a mandate, a plan. The scriptures tell us that Jesus has called us to make disciples, and we see churches planted. We don’t need anything else. We need to be faithful with what we have been given and do what we have been asked to do. With the little that we have, God will do the rest, so let’s stay focused on the task that he has given to us.

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Christ Jesus is in you

Not too long ago, someone taught me that there is a point, an end, to discipleship. That point is that the other person might fully follow Christ, that they would go on to do the same things that you have learned, and more. I am discipling someone because I want them to know Christ and live in him as much as I do, and even more.

Paul tells the Corinthians that they need to examine themselves to confirm that they are, in fact, in Christ. Confirm that they know him. Confirm that they are walking with him.

Examine yourselves to see whether you are in the faith; test yourselves. Do you not realize that Christ Jesus is in you —unless, of course, you fail the test? And I trust that you will discover that we have not failed the test. Now we pray to God that you will not do anything wrong—not so that people will see that we have stood the test but so that you will do what is right even though we may seem to have failed.

2 Corinthians 13:5-7

He is telling the Corinthians that they need to make sure that they are in the faith. There are many reasons for this, of course, but this isn’t what Paul is most concerned about at the moment. He wants to make sure that this church isn’t full of people who are there for the social connection, but are instead there in community to know and glorify Christ.

Paul wants them to make sure that they are truly in the faith. Do they believe what they have been taught? Do they practice what they have been taught? Actually believe and practice?

In the end, Paul says that it may turn out that they have failed. Maybe he and his apostolic band of brothers haven’t fully fulfilled all that they were supposed to do to help the Corinthians become who they were to become. But as we stand before God, that will be a conversation that God has with them, with Paul and his compadres. God will also, though, have a conversation with each of the Corinthians. Were they in Christ?

What is more, and this is the reason that I wanted to write this today, Paul says that, if they are in the faith, Christ is in them! What does that mean? It means that they don’t need to keep coming to Paul to get the answers. They don’t need to argue with him as to whether Christ is truly speaking through him. Why? Because they have Christ within them already! He is already there. They, the Corinthians, simply need to listen to what he is saying.

There are a couple of lessons here, I think. First, I think that it is important for those of us as leaders to continue to remember that the people that we are working with have also received the Holy Spirit. As believers, they have Christ within them as well. And Christ wants to speak to them and through them. And Jesus doesn’t need our help. He doesn’t need my help. He can do all of the talking and instructing and leading and guiding that he wants to do, even without me.

The second lesson is for each person, that we need to pay attention. If we are in Christ, we must follow him. We must do what he tells us to do. It isn’t the responsibility of the leader of our church to tell me what to do. Yes, they have authority, but the greatest authority is that of Christ. What he says needs to be done. And if he says it, and it isn’t happening in my life, I don’t need to wait for the leader to point it out, or lead me to do it. I need to listen to Christ. And the more that I do that, the more that I learn to hear his voice and do what he says. And that will produce an ever-increasing strength of faith and action as a result of Christ in me.

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Boast of weakness

Very often we want to show ourselves worthy, whether it would be worthy of love, worthy of respect, worthy of attention, worthy to be paid, and so much more. This happens regularly in our relationships with other people, but also in our relationship with God. People do “religious” activities, things that they believe that will make God pleased with them, and in that way, God will put a type of stamp of approval upon them.

Our relationship with God certainly doesn’t work that way, and over time, neither do our relationships with other people. As we get to know other people, and they get to know us, we are known not only for our strengths, that which we have put forward for others to see, but also for our weaknesses, those things that may make us seem less worthy, or unworthy, of whatever it is that we tried to be considered worthy of in the first place.

As Paul writes 2 Corinthians, there is a situation happening that others are coming in to Corinth to present themselves as true apostles, or as Paul says, “super-apostles”. They are preaching a gospel that Paul suspects is different than the Gospel that he had preached to them. And they hold themselves up as being the real deal because they are great speakers. They are gifted in preaching and teaching, and the Corinthians are beginning to judge Paul in the light of the giftings of the other teachers. They have said that Paul writes forcefully, but he isn’t very impressive in person. They have said that he seems timid and doesn’t speak well when he is with them.

But Paul isn’t deterred. He knows that the kingdom of God isn’t an issue of how forcefully you speak, or how well you teach. Paul is confident in the Gospel that he has spoken to the Corinthians and he is aware of both his own failings and what his detractors say about him. He isn’t worried, because this isn’t about him. He isn’t trying to get the Corinthians to follow him. He is working to convince the Corinthians that the Gospel that he has preached to them is correct, and if there is any other Gospel that they hear, they have been misled.

Paul realizes, and tells the Corinthians, that it isn’t his strength that is the question, but it is his weakness. It is in his weakness that he should boast:

If I must boast, I will boast of the things that show my weakness.

2 Corinthians 11:30

Paul has a long list of reasons why he is a true apostle, and significantly more than anyone else that might come to them. But that isn’t the issue. Those reasons, in the end, are actually nothing because it is actually Paul’s weaknesses that are at issue.

But why would that be? Why would Paul want to put forward his weakness and boast about that to the Corinthians? Or to anyone else for that matter?

It is because Paul is attempting to point the Corinthians to Christ, not to himself. The other “super-apostles” hold themselves up as having great virtues. They hold themselves up as having great talents, and they attempt to have others follow them because of those talents. And the Corinthians are enticed. They are worldly and they see the worldly talents and are seduced by them. But Paul is trying to explain that the kingdom of God works in precisely the opposite way. He is strong only because of Christ. The truth is that he is weak and any strength that he has, it is because of the strength that Christ has put within him.

And this is the same truth also for us. Each of us also is weak. Anything that we would boast, anything that we would say about ourselves, we should recognize that it isn’t of ourselves, but it is of Christ. The world wants to hold up the frail talents of individual human beings, talents that will soon pass away and mean nothing. But in the kingdom of God, Christ is King and he and his kingdom will last forever. Our boast is our weakness because Christ has made us strong.

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Measure themselves by themselves

Can you imagine trying to measure the length of a board by using the board itself? Or taking your height by looking at yourself in the mirror? No, of course not. That would be absurd and ridiculous because that isn’t possible. You cannot take the length of a board or your own height by using your own standard.

Or here is another one… What is my weight? Am I too heavy? Too skinny? If I measure that, in either direction, based on my own self and how I felt about myself yesterday, I can end up either in unmerited self-loathing or self-approval. Why? Because I have been measuring myself against myself.

Instead, as we measure, we need an external, standard measurement against which we can measure. In the case of length or height, maybe that would be a tape measure. In the case of weight, a scale and a chart to show me healthy ranges. Those would be proper ways to measure, not based on my own feelings or comparing myself against myself.

And yet that is what Paul says is happening with those who are commending themselves to the Corinthian church. There are some people who are attempting to have the Corinthian church follow them instead of Paul, telling the Corinthians that they are the proper apostolic person for them to follow, not Paul.

We do not dare to classify or compare ourselves with some who commend themselves. When they measure themselves by themselves and compare themselves with themselves, they are not wise. We, however, will not boast beyond proper limits, but will confine our boasting to the sphere of service God himself has assigned to us, a sphere that also includes you.

2 Corinthians 10:12-13

Despite the fact that Paul was the one who took the risk in sharing the Gospel, in preaching, making disciples, and starting the church in Corinth, others have now attempted to move in to take on the mantle of leadership. It is likely because the people in the church have preferred what they have done to teach them and allow their worldly lifestyles to continue unabated, there are now divisions amongst them, divisions that have harmed, and are continuing to harm, the church just as Paul has been pointing out.

So Paul is now trying to tell the Corinthians that it is because of these self-comparisons that these other apostolic-type leaders are claiming such leadership over the Corinthians. They have moved in, seeing themselves as the right person to lead the Corinthians. Not because they have been the one to start the church, but because they have looked at themselves in the mirror and decided that they were right. They measured themselves by themselves, not by what had actually been done, but by their own standards.

This caught my attention today because I see this happen throughout the spiritual world today. Yes, I see exactly this same situation that Paul is referring to, but it shows up in other ways as well. We frequently also compare ourselves with ourselves based on our own righteousness. We build ourselves up in our own eyes. We don’t realize that there is a standard outside of ourselves. We see our own selves as the standard and that is the standard by which we measure ourselves.

The place that I actually see this the most is with regard to holiness. Our righteousness before God. We consider ourselves to be righteous because we haven’t done a particular sin in a little while. We act religious, so we call ourselves righteous. And it is simply deception. It is a house of cards that is simply waiting for a slight breeze to make it fall.

Before God, which is the true measurement, the true standard, we are simply dirty in our sin. God is holy, and we are not. There are several examples that I can think of in the Bible where people realize this, but the one that always comes to mind first for me is that of Isaiah. As he stands in God’s presence, he experiences the holiness and the glory of God. He himself has been chosen. He is the one who will speak for God. Yet as he stands before God, he declares that he is a man of unclean lips, and he is from a people of unclean lips. Isaiah realizes his unholiness as he stands before God’s holiness.

But if Isaiah never realized the holiness of God, he might continue to think that he was a good guy, a righteous guy. He might compare himself with himself. He had been chosen as a prophet. He had been the one through whom God is speaking to the Israelite people. He is in great shape, isn’t he? But yes, that is simply comparing himself with himself. Instead, as he stands before God, he realizes how little he is, how unclean he is, as he stands before the holiness of God.

So as we walk forward in our lives, and especially in our spiritual lives, let us not compare ourselves with ourselves. Instead, let us be people who rightly measure and compare ourselves with a just and true measure so that God can use us in the way that he would like because we have seen who we truly are and what God has done, and is doing in us.

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What is unseen is eternal

I love this last statement that Paul makes in 2 Corinthians 4. He is, in essence, using a play on words to make an incredibly important point, I think:

So we fix our eyes not on what is seen, but on what is unseen, since what is seen is temporary, but what is unseen is eternal.

2 Corinthians 4:18

Paul says that we must fix our eyes on what is unseen. But how is that possible? How do you fix your eyes on that which is unseen? How can we see what we cannot see?

Paul has been talking about the glory of Christ revealed through his disciples. He said that, on the one hand, they carry around the death of Christ in their bodies. These bodies, of course, are the things that are seen.

But Paul goes on afterward to also say that they do this so that the life of Christ would be revealed in those same bodies. Life, though, is a thing that is unseen.

You can’t “see” life. You can see the body. You can see it in motion. You can see it move, speak, and react and those are the effects of life, but that isn’t specifically life. Life is something that is unseen.

And yet Paul says that they are fixing their eyes on the things that are unseen. You see, we spend most of our time thinking and worrying about the things that are seen. What we will eat today. How we will pay our bills. What we will do today. How someone will think about us, and how they will react to us. These are the things that we spend the majority of our time thinking about.

Paul says that, instead of these things, they are fixing their eyes on the things that are unseen. The glory of Christ. Christ living in people all around them. The Kingdom of God at work within them and through them. These are the things upon which he is fixing his gaze.

Why? Because these are the only things that last. All of the things that are seen will go away. They will all be destroyed. Burned up. Gone at some point.

None of those things that we are spending our time, energy, and money worrying about, talking about, nor working toward will last. Only those things that are unseen will be what will last forever.

So we have a choice. Do we fix our eyes on the things that are seen? Or do we fix our eyes on the things that are unseen? Do we work for that which will be gone soon? Or do we work for that which will last forever? Which would you prefer?

Now, which will you do?

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Ministers of a New Covenant

Jesus told his disciples at the Last Supper that the cup of wine that he was giving them was his blood of the covenant that was poured out for the forgiveness of sins. But what is this new covenant that Jesus was talking about?

Jesus is referring to the fact that he would soon go to the cross. He would soon give himself, according to God’s plan, as a blood sacrifice, as payment for their sins. In fact, Jesus says that his blood is given for many for the forgiveness of sins.

His body would be broken on the cross and his blood would be poured out so that people from all over the world, both Jews and Gentiles, those that would place their faith in Christ, could receive grace and mercy from God. This now would have the effect of “opening the curtain”, allowing everyone access to God, through a relationship with Jesus Christ. This is the New Covenant to which Jesus was referring. God will be our God through Jesus Christ – who is God himself – and we will be his people. We have a direct relationshp with God through Christ and faith in his death and resurrection to allow us to live an eternal life with him.

It is with this in mind that I read 2 Corinthians 3 this morning, noting that Paul commented on the fact that God made each of us ministers of the new covenant. Here is what he says:

Such confidence we have through Christ before God. Not that we are competent in ourselves to claim anything for ourselves, but our competence comes from God. He has made us competent as ministers of a new covenant —not of the letter but of the Spirit; for the letter kills, but the Spirit gives life.

2 Corinthians 3:4-6

Paul talks about a “confidence” that we have. What confidence is he referring to? He is referring back to the previous paragraph where he speaks of the Corinthians, saying that they, themselves, are their letter of recommendation. They are the fruit of Paul’s work, his ministry. They are the ones that have the Spirit of God living within them as a result of their faith in Christ. Paul notes that it is not with regard to adherence to the law that they are saved, but it is walking by the Spirit that they have been given life.

Paul says that their competence to be ministers comes not from them, nothing that they would be able to offer from a human perspective. Furthermore, following the rules hasn’t enabled them either. No religiosity will allow Paul, nor any other believer, neither the confidence nor the competence to be ministers of the new covenant. Instead, what they have to offer comes only from God’s enabling, through the Holy Spirit, because it is only through the understanding given by the Spirit that we can understand what God has done for us through Christ.

Through our normal, human way of thinking, the adherence to the law makes sense. There is a standard and we must live up to the standard to be able to please God.

But in fact, this is not how God decided that the new covenant would work. Instead, God knew that we couldn’t live up to God’s standard. His standard is holiness. His standard is righteousness. But we are not righteous. We are not holy. We are sinful human beings, so we need a way that we can be made holy, and God himself gives a sacrifice that will make us holy.

And it is through this way, and only this way, that we can come to God. Only through being made holy by God can we be known by him. Only through the blood of Christ can we enter into the new covenant. That is what Jesus explained to his disciples, and now it follows what Paul has explained as well. We have been made ministers of the new covenant, allowing others to also enter into relationship with God because of what he has done within us through his Spirit.

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Wisdom in Distress

To say the least, Paul has had a bit of a tumultuous relationship with the Corinthian church. He had stayed there in Corinth for about a year and half and now is traveling and planting churches in other places as well. He is sending letters back to them, trying to both reprimand and teach them.

In 1 Corinthians, Paul had spoken to the Corinthian church pretty severely. He was very direct in his correction of them. It is possible that there was even another letter yet with additional correction and reprimand to them for all that they had become and the way that the church was behaving. But now, Paul sees fit, instead of traveling to see them, to go elsewhere. Their relationship may be at a breaking point, so instead, he chooses to send yet another letter, 2 Corinthians, to speak with them in a more soothing tone.

Paul has already given them the instructions that they need. Now, it is important that they carry out the instructions. They need to manage the situations properly, and they need to do it locally. Paul can’t continue to send letter after letter with correction after correction. He can’t continue to come to them to be the one to manage the situation in the church. It is for the local church to take on the responsibility, to handle the various situations that they have in their church.

I think it is for this reason that Paul talks about what the church must do with regard to the “offender”:

If anyone has caused grief, he has not so much grieved me as he has grieved all of you to some extent—not to put it too severely. The punishment inflicted on him by the majority is sufficient. Now instead, you ought to forgive and comfort him, so that he will not be overwhelmed by excessive sorrow. I urge you, therefore, to reaffirm your love for him. Another reason I wrote you was to see if you would stand the test and be obedient in everything. Anyone you forgive, I also forgive. And what I have forgiven—if there was anything to forgive—I have forgiven in the sight of Christ for your sake, in order that Satan might not outwit us. For we are not unaware of his schemes.

2 Corinthians 2:5-11

It is teaching moment for the leaders of the Corinthian church as well. They have been continuing to write letters to Paul, asking for instruction, looking for direction. Now it is their turn to take on the mantle of leadership. Paul urges them to forgive them person that had caused them grief, to give him comfort, and show love to him. Now, it is their turn to be obedient, to do what he had written to them, to give correction there inside of their own house and come to the place where they are able to forgive those who have offended the others.

This is an important step. There comes a time when you need to provide a little more slack, even coming to the place where you cut the cord. Not “cut the cord” in the sense of cutting relationship, but in the sense of allowing the child to grow and take responsibility for managing themselves. Paul has been a type of father figure to the church in Corinth. Now they need to grow and become fully formed as the body of Christ. It is time for him to send them forward, to allow them to make the decisions, to become mature and like adults in their work in leading the church.

Given this, Paul is urging them in their actions to take, but now it is up to the leaders of the church to carry out the plan.

So Paul is showing wisdom, even in the midst of the distress that he has felt, both there in his work in Ephesus, but also in his relationship with the Corinthians. Even though he had intended to go to Corinth, he realized that it was better to send a letter instead. He wanted to allow them the opportunity to do what he had told them to do. He wanted to allow them to grow in the midst of the situation that they were in.