Categories
Band

Fattosi coraggio

Giuseppe d’Arimatea era un membro del Sinedrio, uno dei capi che aveva appena fatto parte del gruppo che aveva mandato Gesù davanti a Pilato, la mossa che alla fine portò Gesù alla morte. Da quello che possiamo capire, sembra che Giuseppe non abbia preso la parola in favore di Cristo prima che Gesù morisse. Forse non si rendeva conto che la situazione sarebbe arrivata a tanto. Forse non era sicuro di ciò in cui credeva. È possibile che fosse stato intimidito e non avesse avuto il coraggio di parlare. Non lo sappiamo con certezza.

Ma Giuseppe ora sapeva che Gesù era morto. Un uomo innocente era stato inchiodato alla croce e lasciato morire. Il sangue di Gesù era sulle loro mani, e Giuseppe lo sapeva. Sapeva che loro, i capi dei Giudei, avevano fatto questo, e non poteva permettere che l’infamia continuasse.

Era però un tempo pericoloso. I Giudei non avevano avuto scrupoli a uccidere un uomo innocente, e i Romani erano indifferenti al fatto che un Giudeo vivesse o morisse. Volevano semplicemente mantenere la pace. Il loro obiettivo principale era conservare l’impero e mantenere lo status quo civile. Nessuna persona, né singola né in gruppo, innocente o meno, avrebbe potuto ostacolare tali obiettivi.

Essendo già sera (poiché era la Preparazione, cioè la vigilia del sabato), venne Giuseppe d’Arimatea, illustre membro del Consiglio, il quale aspettava anch’egli il regno di Dio; e, fattosi coraggio, si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù.

Marco 15:42-43

Ci volle grande coraggio per Giuseppe per andare da Pilato a chiedere il corpo di Gesù. Avrebbe potuto essere identificato come uno dei suoi seguaci. Avrebbe potuto essere considerato uno dei nemici. Dopo la morte di Gesù, i suoi discepoli potevano essere i prossimi, braccati e uccisi.

Questa fu, infatti, proprio la questione che il Sinedrio prese in considerazione poche settimane dopo. Avevano arrestato gli apostoli, che a quel punto avevano ricevuto lo Spirito Santo e avevano reso pubblica la nascita della chiesa a Gerusalemme, e volevano ucciderli.

E successivamente, con l’arresto di Stefano, passarono all’azione. Lo uccisero e una persecuzione scoppiò contro i credenti.

Quindi Giuseppe era consapevole del pericolo in cui si trovava. Capiva bene il clima nel quale stava agendo. Sapeva che sarebbe stato un grande rischio essere conosciuto come colui che si prendeva cura del corpo di Cristo.

Eppure andò. Prese coraggio. Andò audacemente da Pilato. Aspettava la venuta del regno di Dio. Pensava che Gesù potesse essere colui che avrebbe restaurato il regno in Israele, ma quelle speranze ora erano state infrante. Eppure avevano comunque ucciso un uomo innocente.

Agiremo noi con tale audacia? Con tale coraggio? Anche di fronte al pericolo? O, anche se non al pericolo, di fronte all’imbarazzo? O alla possibile perdita di status? O di denaro? Non perché siamo identificati con la nostra chiesa o con una particolare posizione politica, ma perché siamo identificati con Gesù. Gesù vale così tanto per noi da rinunciare a tutto il resto? Che sia così. Che possiamo andare con audacia, che possiamo vivere con coraggio per via della nostra identificazione con Cristo.

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *