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Tutte queste cose le ho osservate

L’uomo che oggi chiamiamo il “giovane ricco” pensava di essere una brava persona. Era ricco, quindi sicuramente — almeno così pensava — era benedetto da Dio. Fin da ragazzo aveva obbedito ai comandamenti, così come gli era stato insegnato, e perciò presumeva che Dio lo guardasse con favore.

Eppure, sapeva che qualcosa non andava. Gli mancava ancora qualcosa, e così andò da Gesù per chiedergli cosa dovesse fare per ereditare la vita eterna. Voleva sapere come poter andare in cielo.

Gesù gli rispose dicendo che in realtà già sapeva cosa fare: doveva osservare i comandamenti.

«Ma… quali comandamenti?» chiese l’uomo.

Gesù lo condusse un po’ più avanti nella conversazione, elencando alcuni comandamenti riguardanti il nostro rapporto con gli altri:

  • Non uccidere.
  • Non commettere adulterio.
  • Non rubare.
  • Non dire menzogne.
  • Onora tuo padre e tua madre e ama il tuo prossimo come te stesso.

«Sì, li ho osservati tutti!» rispose l’uomo, apparentemente entusiasta di essere sulla strada giusta. «Che cosa mi manca ancora?»

Lo si può quasi sentire compiaciuto di sé. Era quasi certo che Gesù, quel grande maestro, stesse per dichiarare che era pronto a entrare in cielo ed ereditare la vita eterna.

Ma non si rendeva conto che Gesù lo aveva portato a un vero punto di decisione. Fino a quel momento, l’uomo aveva affermato di vivere rettamente da un punto di vista umano, ma tutte quelle cose — i comandamenti che Gesù aveva menzionato — si possono compiere semplicemente vivendo una vita “morale”. Li si può osservare senza riconoscere Dio come re, come sovrano della propria vita. Si possono rispettare tutti quei comandamenti elencati da Gesù senza nemmeno credere in Dio. Perfino un ateo potrebbe fare tutte quelle cose.

Ora Gesù cambia la natura della conversazione, aiutando l’uomo a comprendere davvero ciò che deve fare per ereditare la vita eterna:

«Se vuoi essere perfetto, va’, vendi ciò che hai e dàllo ai poveri, e avrai un tesoro nei cieli; poi, vieni e seguimi».

Matteo 19:21

Gesù chiama il ricco e gli lancia una sfida: riconoscere davvero l’autorità di Gesù. In precedenza, elencando i comandamenti, non aveva detto nulla riguardo a quelli che trattano il nostro rapporto con Dio. Per esempio, Gesù non aveva menzionato nessuno di questi primi tre dei dieci comandamenti:

  • Non avere altri dèi davanti a me.
  • Non farti idoli né prostrarti davanti a essi.
  • Non usare il nome di Dio invano.

Inoltre, pur avendo ricordato che dobbiamo amare il prossimo come noi stessi, non aveva detto nulla sul più grande e importante comandamento: amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente e con tutte le forze.

Gesù cambia la conversazione dicendo all’uomo che ha ragione: gli manca qualcosa, proprio come sospettava. In realtà gli manca qualcosa, o meglio, qualcuno di essenziale: gli manca Dio.

È come se Gesù gli stesse dicendo:

Vuoi ereditare la vita eterna?
Vuoi vivere per sempre?
Vuoi avere un significato eterno?

L’unico modo per farlo è donarti a Dio. Come? Devi rinunciare a te stesso, alle cose che desideri e a ciò che consideri importante, e darti interamente a lui, interamente a Dio.

Hai pensato che i tuoi soldi, le tue ricchezze, potessero salvarti, ma queste sono solo temporanee. Se vuoi qualcosa che non passi, ma che sia veramente eterno — proprio come mi stai chiedendo — devi venire a Dio.

Come farlo? Liberati del tuo denaro e vieni da me.

Perché liberarti del tuo denaro? Perché lo ami più di quanto ami me.

Perché venire da me? Perché seguire me? Perché io sono Dio. Io sono eterno, e in me puoi trovare la vita eterna.

La tua buona moralità non basta. La tua capacità di osservare i comandamenti ed essere una brava persona non basta. La possibilità di ereditare la vita eterna va molto più in profondità. Dio non è colpito dalla tua capacità di osservare la legge, di seguire un insieme di regole. Non è impressionato dal fatto che tu sia una persona “morale”. Egli guarda alla tua fede, alla tua fiducia dimostrata dal cuore, a una vita che mostra davvero che credi a ciò che ti ha detto. Dio deve essere il tuo Dio. In effetti, io sono Dio, e sto qui davanti a te per dirti come puoi ereditare la vita eterna.

Vuoi vivere per sempre? Allora vendi tutti i tuoi beni. Dalli agli altri. Questo sarà la dimostrazione che credi davvero in me, che ti fidi di me, e che riconosci che io sono Dio.

E allora erediterai la vita eterna.

Il denaro dell’uomo, di per sé, non era il problema. Gesù non ha dato all’uomo un comandamento universale che obblighi tutti i ricchi a vendere tutto e darlo ai poveri. La vera questione è lo stato del cuore. Quali sono le cose che ci impediscono di conoscere veramente Gesù, di riconoscerlo davvero come Dio e di obbedire a ciò che ci ha detto? Quelle sono le cose da rimuovere, così da poterci donare interamente a Cristo.

Ecco perché Gesù disse a quell’uomo di liberarsi di tutti i suoi beni. Essi erano l’ostacolo che gli impediva di conoscere davvero Cristo e quindi di ereditare la vita eterna. Per questo l’uomo se ne andò triste: non era disposto a rinunciare ai suoi beni per seguire Gesù. Voleva i suoi soldi e le sue ricchezze più di quanto volesse Gesù, più di quanto volesse una relazione con Dio, e così la vita eterna non sarebbe stata sua.

Anche noi abbiamo una scelta, una scelta che ci si presenta ogni giorno. Quali sono le cose che ci impediscono di riconoscere pienamente Gesù non solo come nostro Salvatore, ma anche come nostro Signore? Quali sono le cose che ci trattengono dal conoscerlo davvero? Quelle sono le cose da rimuovere dalla nostra vita, riconoscendo Gesù invece come il Signore e Re della nostra vita, vivendo per lui e per la sua volontà.

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La trasfigurazione

Quando Giovanni Battista stava battezzando al fiume Giordano, un gruppo di sacerdoti e leviti era andato da lui, inviato dai capi giudei di Gerusalemme, per capire chi Giovanni affermasse di essere. Gli posero una serie di domande, alle quali Giovanni rispose sempre in modo negativo. Giovanni disse loro che non era il Messia, allora gli chiesero:

Sei Elia?

Sei il Profeta?

Perché queste domande? Elia era già venuto ed era stato portato in cielo, e c’erano stati molti profeti, quasi tutti perseguitati, maltrattati o uccisi dai Giudei. Eppure fecero quelle domande a causa delle profezie che avevano letto, scritte da Malachia e da Mosè.

Per prima cosa, Malachia aveva detto che Elia sarebbe venuto prima dell’arrivo del giorno del Signore. Queste furono letteralmente le ultime parole scritte dai profeti, circa 400 anni prima dell’arrivo di Giovanni:

Ecco, io vi mando il profeta Elia, prima che venga il giorno del SIGNORE, giorno grande e terribile.

Egli volgerà il cuore dei padri verso i figli, e il cuore dei figli verso i padri, perché io non debba venire a colpire il paese di sterminio.

Malachia 4:5-6

Gesù in seguito confermò – subito dopo la Trasfigurazione – che Giovanni Battista era l’Elia che doveva venire e che aveva preparato la via del Signore chiamando il popolo al ravvedimento dei peccati. Tuttavia, Gesù aggiunse anche, in quello stesso discorso su Elia, che egli sarebbe tornato anche in anticipo rispetto alla seconda venuta di Cristo.

È chiaro, dunque, che Elia è una figura importante nel ministero di Gesù, e mentre si trovava lì sulla montagna con Gesù durante la Trasfigurazione, Elia rappresentava l’importanza dei profeti, coloro che Dio aveva mandato a richiamare il suo popolo al ravvedimento e che avevano annunciato la venuta del Messia, compiuta nella vita di Cristo.

Inoltre, vediamo che anche Mosè è lì sul monte insieme a Gesù ed Elia. Mosè rappresenta la Legge, quella che era stata data da Dio, tramite Mosè, al popolo d’Israele, quando Dio stabilì la sua alleanza con loro: se avessero obbedito ai comandamenti ricevuti, Dio sarebbe stato il loro Dio ed essi il suo popolo.

Nella Trasfigurazione, dunque, Pietro, Giacomo e Giovanni – che Gesù aveva portato con sé – poterono testimoniare la rappresentazione della Legge e dei Profeti e il compimento di tutto ciò che entrambi avevano annunciato nel Messia, in Gesù. Ma mentre Pietro parlava senza sosta, proponendo di costruire delle tende per rimanere lì, Dio lo interruppe dall’alto dicendo:

Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto; ascoltatelo.

Matteo 17:5

Così ora non abbiamo soltanto la Legge, i Profeti e il Messia stesso, ma abbiamo anche Dio che parla, confermando ai discepoli che Gesù è suo Figlio. Egli è colui nel quale il Padre si compiace, e Dio dice ai discepoli – e a tutta la creazione di ogni tempo – di ascoltarlo, di ascoltare Cristo. La sua voce è la voce che conta. La sua voce è la voce della verità, la voce che dà vita. Egli viene dal cielo, proprio come aveva detto, e perciò Dio ci chiama ad ascoltarlo.

La Legge? Sì, leggila. Osservala. Mettila in pratica.

I Profeti? Certamente.

Ma la voce di Gesù è l’unica voce che ha autorità sopra ogni cosa. Sopra la Legge. Sopra i Profeti. Sopra tutto. Ascoltatelo.

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Rinunci a se stesso

Nel caso ci fosse stato qualche dubbio sul livello al quale Gesù voleva che i suoi discepoli lo valutassero, che vivessero per lui, Gesù lo rese completamente chiaro. Nello stesso dialogo, Pietro aveva dapprima chiamato Gesù il Messia e il Figlio di Dio. Poi, subito dopo, lo rimproverò per aver detto che sarebbe stato ucciso.

Ma Gesù spiegò sia a Pietro che a tutti i discepoli che perdere la propria vita faceva parte della descrizione del compito di essere suoi discepoli:

Se uno vuol venire dietro a me, rinunci a se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà. Che gioverà a un uomo se, dopo aver guadagnato tutto il mondo, perde poi l’anima sua?

Matteo 16:24-26

Gesù stesso stava andando verso la croce. Sapeva che il suo tempo stava arrivando e aveva spiegato questa realtà ai suoi discepoli. Eppure, quando Pietro cercò di impedirgli di dirlo e di suggerire una cosa del genere a lui e agli altri discepoli, Gesù lo chiamò Satana! Gesù era completamente serio e spiegò ai suoi discepoli che la notizia era ancora peggiore di quanto avessero inizialmente pensato: anche loro avrebbero dovuto fare come lui stava per fare. Non sarebbe stato solo lui ad andare alla croce. Ci sarebbero andati anche loro.

Ora, ci sono diversi modi in cui questo avviene. Ci sono diversi modi in cui i discepoli, e persino noi, dobbiamo prendere la nostra croce. Non è semplicemente una metafora. Sì, per i discepoli era una realtà fisica. Molti di loro, infatti, sarebbero stati crocifissi sulla croce, proprio come Gesù. Ma non era solo a questo che Gesù si riferiva. Parlava anche delle decisioni della nostra vita. Parlava di come viviamo e, soprattutto, per chi viviamo. Stiamo vivendo per Gesù? O stiamo vivendo per noi stessi? Vivo per compiacerlo? O vivo per compiacere me stesso? Quale delle due cose?

Gesù chiama ciascuno di noi a deporre i propri desideri, la propria volontà, e invece a morire a noi stessi. Quando prendiamo la nostra croce, seguiamo il nostro Re. Seguiamo colui che amiamo, colui che ci ha creati, affinché possiamo vivere per lui. Facciamo ciò che gli piace, ciò che lo glorifica. Scegliamo quelle cose nella vita che lo glorificano di più. Non semplicemente ciò che voglio io, ma ciò che desidera lui.

Gesù dice che se faremo questo, se lo metteremo al primo posto, troveremo veramente la nostra vita. Avremo la vita piena e abbondante che egli ha promesso a ciascuno di noi. Avremo tutto ciò che vuole darci, e sarà molto più di quanto avremmo mai potuto immaginare.

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Chi è mia madre, e chi sono i miei fratelli?

Se fosse qui oggi, sono ragionevolmente sicuro che Gesù verrebbe chiamato un radicale, uno zelota, un estremista, se vogliamo. Non ha mai fatto del male a nessuno, ma certamente non “addolciva i colpi” né “smussava” le sue parole.

La mia impressione è che Gesù fosse concentrato su una sola cosa: ristabilire il suo regno affinché potesse glorificare Dio. Gesù pronunciò parole difficili, disse cose dure a chiunque si opponesse a quell’obiettivo.

Ad esempio… Un giorno, mentre Gesù stava viaggiando di villaggio in villaggio, sua madre e i suoi fratelli vennero a cercarlo, presumibilmente per portarlo via da ciò che stava facendo e riportarlo a casa. Giovanni ci dice che i suoi fratelli non credevano in lui all’inizio del suo ministero, quindi ho l’impressione che volessero intervenire, porre fine alla sua opera, riportarlo a casa per mettere fine all’attenzione e all’imbarazzo che si era riversato sulla loro famiglia a causa delle folle che seguivano l’opera di ministero di Gesù.

Ma sua madre e i suoi fratelli rimasero fuori. Si fermarono fuori dalla casa dove Gesù stava insegnando. Non entrarono, e così, quando a Gesù fu detto che erano arrivati, egli rispose direttamente alla persona che gli aveva dato l’annuncio:

«Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?» E, indicando i suoi discepoli, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli. Perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è mio fratello, mia sorella e mia madre».

Matteo 12:48-49

Riesci a immaginarlo? Anche in una cultura che non pratica una stretta vicinanza dei legami familiari, questo sarebbe stato un incredibile rimprovero, potremmo dire quasi uno schiaffo in faccia alla sua famiglia. Cosa sarebbe tornata a dire quella persona a sua madre e ai suoi fratelli? “Mi dispiace, Gesù dice che la sua famiglia è composta da quelli che sono dentro ad ascoltarlo… Non so cosa significhi per voi…”

Ma questa ERA una cultura che praticava quei legami familiari. Nella loro cultura, la famiglia stava insieme. La famiglia lavorava insieme. La famiglia viveva persino sotto lo stesso tetto o in case vicine, e qui Gesù stava dicendo: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?».

Non li stava rinnegando. No, sono loro che lo avevano rinnegato. Hanno negato la sua identità e speravano di portarlo a casa e tornare alla vita di prima. Pensavano che fosse fuori di sé. Pensavano che fosse giunto il momento di porre fine a questa follia, a questa illusione in cui Gesù stava vivendo. No, tutti dovevano essere a casa. Tutti dovevano stare zitti. Tutti dovevano fare quello che era previsto, contribuendo alla famiglia e vivendo secondo i modi in cui un buon ragazzo ebreo doveva vivere.

Tuttavia, Gesù non la vedeva così. Egli rispose alla persona che gli aveva detto che la sua famiglia era arrivata guardando i suoi discepoli e quelli che erano lì con lui nella casa e, in sostanza, dicendo: “Questa è la mia famiglia”. Quelli che fanno la volontà di Dio, quelli che mi ascoltano, questi sono i miei familiari.

Quante volte ci lasciamo trascinare dalle norme della nostra cultura, dal pensare come pensa la nostra cultura invece di pensare con uno sguardo rivolto al regno di Dio? Continuamente! Posso dire che per me è stato necessario uscire dalla mia cultura per riuscire a vederlo con maggiore chiarezza. Infatti, c’erano molti aspetti in cui ero cieco nel vedermi alla luce del regno di Dio perché la cultura in cui ero cresciuto era la mia prospettiva dominante. In molti modi, probabilmente lo è ancora, e probabilmente mi impedisce ancora di vedere come il regno di Dio stia operando tutto intorno a me.

Questa è la nostra sfida. Dobbiamo continuare a rimanere in Cristo, dimorare in lui e camminare con lui a tal punto da poter vedere con maggiore chiarezza le priorità del regno di Dio sopra quelle del mondo che ci circonda. Da lì, una volta che comprendo quelle priorità e le vedo con quel livello di chiarezza, devo poi riorientare le mie azioni in modo da organizzare la mia vita sulla base di ciò che Gesù vuole e sta facendo, piuttosto che su ciò che io voglio o su ciò che la cultura mi dice che dovrei volere. Questa è la domanda che dovrei pormi ogni giorno: come posso fare tutto questo?

Gesù parlava direttamente, e a volte con parole difficili e provocatorie, per aiutare le persone a vedere chiaramente e a svegliarsi dal torpore che la cultura aveva gettato su di loro riguardo alle priorità della vita. Possiamo anche noi essere un popolo che vede chiaramente le priorità di Cristo e del suo regno.

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Ballare e piangere

Dopo essere stato messo in discussione riguardo alla sua identità, persino da suo cugino Giovanni Battista, il profeta inviato per preparare la via alla sua venuta, Gesù cominciò a riflettere sulla gravità della situazione spirituale in cui si trovava il mondo al momento della sua venuta:

Ma a chi paragonerò questa generazione? È simile ai bambini seduti nelle piazze che gridano ai loro compagni e dicono: “Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato; [vi] abbiamo cantato dei lamenti e non avete pianto”. Difatti è venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e dicono: “Ha un demonio!” È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: “Ecco un mangione e un beone, un amico dei pubblicani e dei peccatori!” Ma la sapienza è stata giustificata dalle sue opere».

Matteo 11:16-19

Questa generazione, dice Gesù, sembra incapace di prendere una decisione. Quando viene suonata una melodia per danzare, non danzano. Quando viene intonato un canto di lutto, non piangono. Preferiscono dubitare piuttosto che credere. Preferiscono puntare il dito contro quelli che giudicano come difetti negli altri, e così finiscono per ignorare il messaggio che viene loro rivolto.

In molti modi, le cose non sono cambiate nemmeno oggi. Proprio come i Giudei ai tempi di Gesù non volevano né ballare né piangere, anche noi spesso non ascoltiamo la “musica” che ci viene suonata. Il regno delle tenebre che domina questo mondo ci nutre costantemente di menzogne, e noi finiamo per ascoltarle, incapaci di reagire alla vera musica che viene suonata. Restiamo distratti, presi dalle nostre abitudini, dai nostri affari, dalla nostra vita quotidiana, senza mai davvero udire la musica, senza ballare né piangere.

La mia preghiera è che possiamo risvegliarci, che Dio ci scuota dalla cecità e dalla sordità causate dalle distrazioni che Satana ha disseminato nel mondo intorno a noi. Prego che possiamo invece udire la musica che Cristo sta suonando, e che possiamo danzare o piangere, muovendoci al ritmo che Egli ci propone, non più distratti e incapaci di riconoscere la sua voce.

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Mandi degli operai

Gesù viaggiava per tutti i villaggi e le città della zona in cui svolgeva il suo ministero. Anche se a volte i suoi discepoli volevano che rimanesse per stabilire la loro opera in un’area particolare, o anche se la gente gli chiedeva di restare molto più a lungo, Gesù proseguiva, coprendo con il suo messaggio un’intera regione: il regno di Dio si è avvicinato.

Quasi per riuscire a coprire più territorio più rapidamente, Gesù inviò anche i suoi discepoli. Egli sarebbe poi passato in quelle stesse zone dove aveva mandato i discepoli, ma li inviava in anticipo rispetto al suo arrivo.

Mentre li inviava, però, cominciò con questo comando:

Allora disse ai suoi discepoli: «La mèsse è grande, ma pochi sono gli operai. Pregate dunque il Signore della mèsse che mandi degli operai nella sua mèsse».

Matteo 9:37

Gesù comanda ai suoi discepoli di pregare e chiedere a Dio di mandare operai nella sua messe. In un certo senso, i discepoli stessi sono la risposta a questa preghiera; ma in un altro senso, la loro prima istruzione, nel momento in cui Gesù li invia, è proprio quella di pregare per degli operai.

Ma in quel tempo, loro stessi erano gli unici operai! Su tutta la terra, erano i soli a portare il messaggio del regno di Dio che avevano ascoltato da Gesù e che ora erano chiamati ad annunciare. Per chi altri potevano pregare, chiedendo a Dio di mandare degli operai?

Non c’erano pastori.

Non c’erano missionari.

Allora chi sarebbero stati? L’unica risposta possibile che mi viene in mente è che questi operai sarebbero venuti direttamente dalla messe. Sarà il campo stesso della raccolta a fornire gli operai che saranno inviati a compiere il lavoro che c’è da fare.

Ma, praticamente parlando, cosa significa questo? Significa che quando Gesù mandò i suoi discepoli ad annunciare il regno di Dio, non cercavano soltanto credenti nel messaggio, ma anche operai per il regno.

Abbiamo oggi una messe meno abbondante di allora? Ci sono miliardi e miliardi di persone sulla terra che devono ancora ascoltare il messaggio della redenzione di Dio in Cristo, e l’unico modo perché ciò accada è pregare che Dio mandi operai nella sua messe.

Fra quei miliardi di persone, ci sono molte lingue che la maggior parte di noi non parlerà mai. Ci sono differenze culturali che possono ostacolare l’avanzare del Vangelo. Ci sono tendenze naturali dell’uomo che continueranno a creare tribù e divisioni tra “noi” e “loro”.

Anche noi dobbiamo pregare il Signore della messe, affinché mandi operai nella sua messe. Quegli operai possono e devono venire da ogni luogo, ma considerata l’immensità della messe in certe parti del mondo, preghiamo che il Signore mandi operai proprio lì, dove il nome di Cristo non è conosciuto e dove il regno di Dio non è stato ancora proclamato. E preghiamo che quegli operai abbiano l’aspetto, la lingua e la comprensione delle culture di quei popoli, proprio là dove oggi i campi della messe sono più vasti nel mondo.

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Di’ soltanto una parola

Gesù compì miracoli per confermare che ciò che diceva era vero. Solo facendo le opere che solo Dio poteva fare, Gesù poteva dimostrare che stava pronunciando le parole che solo Dio poteva pronunciare. La gente rimaneva stupita dell’insegnamento di Gesù perché parlava come uno che aveva autorità. Perché? Perché aveva davvero autorità. Egli è Dio. È il Creatore stesso che era venuto in forma umana per farsi conoscere da noi.

Quando Gesù terminò il suo discorso sulla montagna, cominciò a scendere, e mentre lo faceva, Matteo racconta che iniziò a compiere diversi miracoli. Guarì un uomo dalla lebbra, la suocera di Pietro dalla febbre, e molti altri, mostrando il suo potere sulle malattie. Guarì persone possedute dai demoni, mostrando il suo potere sul male. E calmò perfino il vento e le onde, mostrando il suo potere sulla creazione.

Gesù stava compiendo miracoli, facendo cose che solo Dio poteva fare, affinché le persone vedessero e credessero. Credessero a ciò che insegnava loro. Credessero che egli era veramente Dio. E non solo credessero, ma dessero completamente la loro vita a lui.

Una delle sfide più grandi di Gesù, tuttavia, era far sì che il suo stesso popolo lo accettasse. Anche vedendo i miracoli che egli compiva, i Giudei raramente riuscivano ad accettare e credere che Gesù fosse il Cristo, il Figlio di Dio.

C’era però un uomo che dimostrò di sapere veramente chi fosse Gesù. Ma non era un Giudeo. Anzi, era un Romano. Proveniva proprio da quel popolo che i Giudei pensavano dovesse essere rovesciato, conquistato dal Messia che stavano aspettando. Quest’uomo sapeva che Gesù poteva guarire gli altri, non per qualche potere magico che sembrava possedere, ma perché Gesù aveva davvero autorità. Anzi, sapeva che l’autorità di Gesù si estendeva nello spazio e nel tempo. Egli poteva dare un comando in un luogo e in un momento, e questo sarebbe stato eseguito in un altro luogo nello stesso momento, o in un altro tempo, o in qualunque modo egli avesse scelto.

Perché? Perché Gesù è Dio. Questo centurione romano capì, basandosi sulla sua piccola esperienza, relativamente parlando, con cento soldati, che quando dava un ordine, quell’ordine sarebbe stato eseguito esattamente come lui aveva detto.

Ma il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Perché anch’io sono un uomo sottoposto ad altri e ho sotto di me dei soldati; e dico a uno: “Va'”, ed egli va; e a un altro: “Vieni”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo”, ed egli lo fa».

Matteo 8:8-9

È straordinario cercare di comprendere ciò che quest’uomo comprese. Come centurione, era abituato a dare ordini ai suoi soldati. Dava ordini a persone fisiche e concrete. Queste andavano ed eseguivano quegli ordini. In altre parole, c’era qualcuno responsabile. Qualcuno che poteva vedere. Se quell’ordine non fosse stato eseguito, il centurione sapeva chi ritenere responsabile.

Ma il centurione stava dicendo che sapeva che Gesù poteva semplicemente pronunciare una parola e il suo servo sarebbe stato guarito. Questo è un tipo di autorità diverso! È un’autorità che va ben oltre quella del centurione. A chi avrebbe detto Gesù di andare? Chi avrebbe dovuto essere ritenuto responsabile se l’ordine non fosse stato eseguito?

Queste erano domande superflue, perché quel centurione sapeva qualcosa di incredibilmente importante: l’autorità di Gesù era assoluta. Gesù è Dio. Egli è il Creatore di tutte le cose. Ciò che egli dice che deve essere fatto, è ciò che sarà fatto, sia che dica a qualcun altro di farlo, sia che semplicemente pronunci la parola: quello che egli dice è ciò che accadrà. Punto. Senza domande. Egli ha l’autorità di esprimere la sua volontà, e l’autorità che gli dà la certezza che la sua volontà sarà compiuta quando dichiara che qualcosa deve essere fatto, sia che egli sia presente oppure no, semplicemente perché lo dice.

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Turbato

Ho scelto la parola “turbato” dal testo su cui ho deciso di riflettere oggi per titolare questo breve post. Tuttavia, credo che una parola migliore, almeno in inglese e nel contesto di ciò che stava accadendo, potrebbe essere “minacciato”. Erode, con ogni probabilità, percepì una minaccia al suo dominio quando i Magi passarono per Gerusalemme chiedendo del re dei Giudei.

Dov’è il re dei Giudei che è nato? Poiché noi abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo».

Udito questo, il re Erode fu turbato, e tutta Gerusalemme con lui.

Matteo 2:2-3

Il resto della popolazione di Gerusalemme probabilmente provava un senso di meraviglia, o forse di attesa. In questo senso, erano probabilmente turbati. Ma pensando a Erode, credo che si trattasse decisamente di una minaccia. Egli governava l’area dopo essere stato nominato dal senato romano. Regnava come re sull’area, anche se era un re “cliente”, soggetto a Roma.

L’arrivo di Gesù sulla scena fece presumere a tutti, incluso Erode, che sarebbe arrivato un re per rovesciare il governo, liberarsi dall’oppressione del governo romano e condurre Israele alla vittoria come popolo eletto di Dio sulla terra. Questo, in effetti, è ciò che gli Ebrei aspettano ancora oggi. Credono che ci sia un leader politico, un Messia, che deve ancora venire e che guiderà il loro popolo alla grandezza per salvarlo.

Eppure, quando Gesù arrivò, simile a suo cugino Giovanni Battista, chiamò le persone al pentimento, le invitò a credere in lui, a riconoscerlo come re delle loro vite. Non ha mai inteso, né provato, a essere un re terreno, politico. In effetti, ha avuto diverse opportunità di diventare re e le ha regolarmente rifiutate. No, invece, Gesù chiamava le persone al suo regno, un regno spirituale, dove regna come re sulle vite delle persone. Non solo con potere, nel governo e attraverso le leggi. Non un regno politico per governare un territorio o nemmeno un tentativo di dominare il mondo intero. Non ancora, almeno. No, la pretesa di Gesù come re è di essere re dei nostri cuori, di donarci completamente a lui.

Questo stesso turbamento, o minaccia, che Erode provò, è lo stesso che le persone sentono ancora oggi. Gesù rivendica la regalità e continua a chiamarci nel suo regno.Gesù non ha costretto nessuno. Non ha sottomesso o conquistato popoli o terre per regnare su di loro. No, dobbiamo pentirci volontariamente, riconoscendo che le nostre vite non funzionano senza di lui come re. Dobbiamo renderci conto del vuoto, dell’insensatezza delle nostre vite senza un re che regni non solo per un breve periodo, ma per l’eternità.

Come Erode, però, questo turba molte persone. Le minaccia perché non vogliono rinunciare alla loro autorità. Non vogliono cedere il loro potere decisionale. Non vogliono che qualcun altro abbia autorità su di loro, quindi rifiutano di seguire Cristo. Rifiutano di riconoscere la sua regalità. Si oppongono al suo regno.

Questa è la decisione che dobbiamo prendere. Spesso parliamo di salvezza dai nostri peccati, ed è vero che questo è ciò che Cristo ha fatto per noi. Ci ha salvati dai nostri peccati. Ma ciò è stato fatto per uno scopo, affinché ci desse accesso al suo regno. Ci ha acquistati dal regno delle tenebre per entrare nel regno di Dio.

Eppure, dove c’è un regno, c’è anche un re, e la nostra vera decisione è se Gesù sarà non solo il nostro salvatore, ma se gli permetteremo di essere veramente anche il nostro re, il nostro capo e sovrano su di noi. Gesù ha descritto l’ottenimento del regno come trovare un tesoro in un campo o una perla preziosa, ma questa è una decisione che ognuno di noi deve prendere, se accoglieremo la notizia del nostro re con grande gioia, o se riceveremo quella stessa notizia e saremo turbati o minacciati perché egli rivendica di essere il re della nostra vita.

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Il figlio di Abraamo

Pensiamo normalmente alle storie di Ismaele e Isacco e alla lotta che ne scaturì a causa della disobbedienza di Abramo e Sara. Credo che sia una lotta che continua ancora oggi ed è all’origine dei problemi che vediamo in Medio Oriente.

Ma al di là di Ismaele e Isacco, Matteo si riferisce anche a Gesù come figlio di Abramo.

Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abraamo.

Matteo 1:1

Perché mai?

Matteo fa risalire la discendenza di Gesù fino ad Abramo perché la venuta di Gesù portò a compimento le promesse che Dio aveva fatto ad Abramo. Ecco cosa disse Dio ad Abramo, già in Genesi 12:

Benedirò quelli che ti benediranno e maledirò chi ti maledirà, e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra.

Genesi 12:3

E successivamente, in Genesi 15, Dio disse questo ad Abramo:

«Guarda il cielo e conta le stelle, se le puoi contare». E soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza».

Genesi 15:5

Il problema, almeno in quel momento, era che Abramo non aveva figli. Era, di fatto, preoccupato di dover lasciare tutta la sua eredità a uno dei suoi servi. Ma Dio lo rassicurò che, nonostante la sua vecchiaia, avrebbe avuto figli, e la sua discendenza sarebbe stata numerosa come le stelle del cielo.

Alla fine, Abramo ebbe ancora altri figli, anche dopo Ismaele e Isacco, ma neppure con tutti questi i suoi discendenti potevano essere paragonati alle stelle del cielo. No, quel compimento sarebbe arrivato tramite i suoi nipoti, e i nipoti dei suoi nipoti, e così via.

Così Gesù è chiamato figlio di Abramo per mostrare la discendenza e il legame che aveva con Abramo come suo discendente.

Eppure mi chiedo se, anche dopo tutte queste generazioni e discendenti, sarebbero stati abbastanza da poter essere considerati come le stelle nel cielo. Certamente sarebbero stati molti, moltissimi, ma come le stelle? È un numero immenso.

Inoltre, resta ancora la prima promessa che Dio fece ad Abramo: come avrebbero tutte le nazioni della terra potuto essere benedette attraverso di lui?

In Gesù, questa promessa si realizza e si compie. Ecco come:

Matteo colloca Gesù nella discendenza diretta di Abramo, ma Gesù adempie la promessa anche in un altro modo. In Genesi 15 vediamo che Dio promette ad Abramo una discendenza numerosa come le stelle, e Abramo credette a Dio. Credette a ciò che Dio gli disse, e per questo Dio lo «accreditò» di giustizia.

Egli credette al SIGNORE, che gli contò questo come giustizia.

Genesi 15:6

La maggior parte delle persone direbbe che bisogna essere una brava persona, rendersi giusti davanti a Dio, e allora Egli ci accetterà. Ma nel caso di Abramo, egli fu considerato giusto davanti a Dio perché credette a ciò che Dio gli disse.

Tutto qui. Credette, e così fu dichiarato giusto.

Quando Gesù venne, insegnò alle persone che dovevano credere che lui era – ed è ancora! – chi diceva di essere. E quando credevano, egli li rendeva giusti. Perdonava i loro peccati. Li mandava via dicendo loro di non peccare più, ma prima, in base alla loro fede, proprio come Dio fece con Abramo, Gesù faceva lo stesso con coloro che credevano. Gesù era figlio di Abramo in senso genealogico, ma era anche Figlio di Dio, in uno dei tanti sensi, poiché rendeva giusti coloro che credevano in lui.

Ancora oggi, Gesù ci rende giusti davanti a Dio in base alla nostra fede in lui. Gesù continua a compiere le promesse che Dio fece ad Abramo, diventando una benedizione per tutte le nazioni. Chiunque riponga la propria fede in Cristo, credendo che Gesù ha preso su di sé la punizione per i propri peccati, sarà reso giusto. La benedizione di Abramo è diventata una benedizione per tutte le nazioni grazie a Gesù. E questa benedizione è arrivata a tutte le nazioni perché, come Abramo, possiamo essere resi giusti attraverso la fede.

In questi modi, Gesù è figlio di Abramo e noi, come credenti in Cristo, diventiamo discendenti di Abramo per fede, una delle stelle del cielo.

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Che fece preparare la forca

Dopo che il re Serse ebbe approvato il decreto di Haman, secondo il quale tutti gli ebrei sarebbero stati sterminati in tutto l’impero persiano, Mardocheo cominciò a piangere e a fare cordoglio, sia per sé stesso che per il suo popolo all’interno dell’impero. Quando Ester venne a sapere di Mardocheo e di ciò che lo spingeva a gridare in quel modo, ella con coraggio mise in atto un piano per rovesciare il corso del decreto, rischiando la propria vita per salvare il suo popolo.

Ester organizzò un banchetto sia per il re che per Haman, facendo sentire Haman importante e orgoglioso della sua posizione all’interno dell’impero. Era vicino al re, e ora veniva persino onorato da Ester, la quale, a sua insaputa, era una degli ebrei che egli intendeva far uccidere.

Tornando a casa dopo il primo dei banchetti che Ester aveva preparato per i due uomini, Haman era da un lato felice, ma dall’altro continuava a ribollire di rabbia a causa di quella che percepiva come insolenza di Mardocheo, che si rifiutava di onorarlo e inchinarsi davanti a lui al suo passaggio. Sua moglie gli suggerì di innalzare un palo, in modo che presto potesse appendervi Mardocheo quando sarebbe giunto il momento di giustiziare gli ebrei. In questo modo, non solo gli ebrei sarebbero stati uccisi, ma Mardocheo sarebbe diventato il simbolo dell’avvenuto sterminio, e anche un esempio per chiunque altro avesse osato non riconoscere la grandezza di Haman.

Allora Zeres, sua moglie, e tutti i suoi amici gli dissero: «Si prepari una forca alta cinquanta cubiti; e domattina di’ al re che vi si impicchi Mardocheo; poi vattene allegro al convito con il re». La cosa piacque ad Aman, che fece preparare la forca.

Ester 5:14

Naturalmente, seguendo la storia scopriamo che non solo Mardocheo non venne messo sul palo, ma che fu lo stesso Haman a dover condurre Mardocheo in parata, onorandolo davanti a tutto il popolo di Susa. È una manifestazione incredibile di ironia, che non si ferma lì. Il piano di Haman, e le motivazioni che lo avevano spinto, grazie alla saggezza di Ester, vengono smascherati davanti al re, e sarà Haman stesso a finire sul palo che aveva preparato per Mardocheo.

Questo mi ricorda una bellissima canzone che ho sentito, e che credo di aver già citato in passato. Una donna di nome Jess Ray la canta, si intitola “Gallows”, e credo sia stata originariamente inclusa nel video Sheep Among Wolves II. Ecco il link alla canzone:

In questo brano, Jess canta del modo in cui Haman non solo agisce in maniera satanica, ma si mostra anche come una figura del Satana stesso all’interno della storia di Ester.

Perché?

La speranza di Satana era distruggere il Messia per contrastare completamente i piani di Dio. Se fosse riuscito a sterminare gli ebrei, il Messia non avrebbe potuto venire, poiché sarebbe sorto soltanto da Israele.

Eppure Gesù venne, e per lui fu innalzato un “palo”, nello stesso modo in cui era stato innalzato per Mardocheo. Satana guidò le azioni dei capi religiosi giudei e intese servirsi dei Romani per uccidere Cristo, ma così facendo si mosse direttamente all’interno del piano di Dio. Uccidendo Gesù, Satana stesso perse la guerra che stava conducendo contro Dio. Tutto il suo potere gli fu tolto, perché su Gesù Dio fece ricadere la punizione per i peccati del mondo. Tutta la forza di Satana consisteva nel fatto che poteva accusare gli uomini per i loro peccati, eppure, sulla stessa croce dove fece appendere Gesù, Satana perse ogni potere perché Gesù prese su di sé tutta la condanna.

Come canta Jess nel brano citato:

Il diavolo sarà appeso alla sua stessa forca.

Ed è esattamente ciò che accade a Haman nella storia di Ester, e lo stesso è avvenuto a Satana attraverso la morte di Cristo sulla croce.