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Dispersi

C’è un detto tra alcuni missiologi, evangelisti e persone di tipo apostolico che suona più o meno così:

Se non fai Atti 1:8, potresti ritrovarti con Atti 8:1.

Cosa significa?

In Atti 1:8, poco prima di ascendere al cielo, Gesù aveva detto ai suoi discepoli che avrebbero ricevuto potenza quando lo Spirito Santo sarebbe venuto su di loro, e allora sarebbero stati suoi testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea, in Samaria e fino agli estremi confini della terra.

E quindi, cosa è successo in realtà?

Gesù ascende al cielo, lo Spirito Santo arriva, Pietro predica, 3000 persone vengono battezzate e vediamo un inizio straordinario della chiesa a Gerusalemme.

Eppure, almeno per un certo periodo di tempo, sembra che la chiesa non sia andata oltre. Non vediamo che il popolo della chiesa sia andato lontano, né che sia stato mandato molto lontano mentre iniziava a diventare il popolo di Dio che Gesù aveva detto che sarebbe stato. A seconda della cronologia che si adotta, gli eventi da Atti 1 ad Atti 8 potrebbero essere avvenuti in un periodo che va da un solo anno fino a tre o quattro anni. È difficile dirlo con certezza, ma il punto principale è che Gesù non intendeva, né aveva detto ai discepoli di andare a Gerusallemme per restarci. No, invece, aveva detto loro di restare lì fino a quando avrebbero ricevuto lo Spirito Santo, e poi sarebbero stati suoi testimoni fino ai confini della terra.

Quando la persecuzione colpisce i discepoli, dobbiamo osservare cosa è accaduto come risultato. Qual è stata la conseguenza dell’uccisione di Stefano e della persecuzione scoppiata a Gerusalemme?

E Saulo approvava la sua uccisione. Vi fu in quel tempo una grande persecuzione contro la chiesa che era in Gerusalemme. Tutti furono dispersi per le regioni della Giudea e della Samaria, salvo gli apostoli. Uomini pii seppellirono Stefano e fecero gran cordoglio per lui. Saulo intanto devastava la chiesa, entrando di casa in casa; e, trascinando via uomini e donne, li metteva in prigione.

Allora quelli che erano dispersi se ne andarono di luogo in luogo, portando il lieto messaggio della Parola.

Filippo, disceso nella città di Samaria, vi predicò il Cristo.

Atti 8:1-5

Vediamo che ci fu grande dolore e lutto per la morte e la sepoltura di Stefano, ma la sua morte fu solo l’inizio. Saulo iniziò ad andare di casa in casa, imprigionando i credenti. Stava cercando di distruggere la chiesa.

Così, per evitare di essere arrestati, i credenti furono dispersi e costretti a lasciare Gerusalemme. Non furono necessariamente inviati dalla chiesa, ma furono mandati via. Furono spinti via dalla forza della persecuzione. E come usò Dio questa persecuzione?

Quelli che erano stati dispersi iniziarono a predicare la Parola ovunque.

Ciò che Gesù aveva detto ai discepoli che voleva che facessero iniziò ad accadere. Anche se non avvenne in circostanze piacevoli, e anche se non avvenne nel modo in cui la chiesa l’aveva pianificato, il popolo della chiesa fu disperso, fu mandato, e così la Parola di Dio fu proclamata ovunque.

Possiamo vedere anche con Filippo, che era uno dei dodici discepoli, che Cristo fu predicato in Samaria, proprio come Gesù aveva detto ai suoi discepoli di fare. Non erano più solo i “puri” ebrei a udire la Parola di Dio e a seguire Cristo. Ora erano anche i samaritani, gli odiati “mezzi-sangue”, come si diceva, che si erano mescolati con gli assiri a causa del processo di colonizzazione dell’Impero assiro secoli prima. E Dio sta mostrando che la buona notizia di Cristo è anche per loro: ascoltano il Vangelo, credono in Gesù come Messia e ricevono perfino lo Spirito Santo. Meraviglioso!

Dio sta usando queste circostanze terribili per la sua gloria. Sta usando la persecuzione dei credenti per diffondere la sua Parola ovunque. Dio, fin dall’inizio, ha detto che la sua immagine avrebbe dovuto riempire la terra. Poi Gesù disse ai discepoli di fare discepoli di tutte le nazioni e disse loro che sarebbero stati suoi testimoni fino agli estremi confini della terra.

Dio non ha mai voluto che il suo popolo restasse fermo in un solo luogo. Il suo piano non è localizzato. Il suo piano è che il suo popolo realizzi e metta in atto un piano per riempire la terra, raggiungendo tutte le persone, ovunque. Nessun luogo deve essere escluso.

Ma nella misura in cui non lo facciamo, Dio userà qualsiasi altro mezzo a sua disposizione… e ciò che vediamo in Atti 8 è che Dio può, e vuole, persino usare il male della persecuzione per i suoi scopi. Anche in mezzo alla violenza, Dio trasformerà la situazione per la sua gloria.

Dovremmo imparare una lezione da ciò che la prima chiesa di Gerusalemme ha vissuto! Dovremmo unirci a Dio nel suo piano. Egli non intende che restiamo in un solo luogo, ma che ci uniamo a lui in ciò che sta facendo: diffondere la sua immagine sulla terra, facendo discepoli di tutte le nazioni, mentre andiamo avanti e diventiamo parte del compimento del suo piano.

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Non è conveniente

Sono bravo a trovare molte idee diverse. Idee su fare questo o fare quello, principalmente nel tentativo di far avanzare il Vangelo, ma a volte anche solo pensando a come creare un progetto che possa essere accessorio alla diffusione del Vangelo.

Credo sia importante assicurarci di non sacrificare l’opera di condivisione del Vangelo o di aiuto agli altri affinché comprendano e seguano la parola di Dio, solo per sviluppare un progetto, anche se questo potrà essere utile alla comunità o portare, in futuro, alla diffusione del Vangelo in un modo nuovo.

C’è stato un esempio di questa situazione nella chiesa primitiva. Per loro, in realtà, era ancora più difficile, perché gli apostoli si trovavano di fronte a uno scenario in cui alcune vedove della comunità non ricevevano la distribuzione quotidiana del cibo. Potrebbe sembrare che la cosa giusta da fare fosse interrompere tutto e risolvere il problema. O magari essere colui che porta il cibo alle vedove, così che il lavoro venga fatto.

Gli apostoli, però, sapevano che era fondamentale continuare a parlare, predicare e proclamare la parola di Dio. Sapevano di avere la responsabilità di insegnare agli altri. Erano stati con Gesù e dovevano aiutare gli altri a comprendere chi fosse e come anche loro potessero seguirlo.

Ma, naturalmente, era importante che le vedove ricevessero il cibo! Tuttavia, non a scapito della predicazione e dell’insegnamento della parola di Dio:

I dodici, convocata la moltitudine dei discepoli, dissero: «Non è conveniente che noi lasciamo la Parola di Dio per servire alle mense. Pertanto, fratelli, cercate di trovare fra di voi sette uomini, dei quali si abbia buona testimonianza, pieni di Spirito [Santo] e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. Quanto a noi, continueremo a dedicarci alla preghiera e al ministero della Parola».

Atti 6:2-4

Così scelsero sette persone. Potremmo dire i primi diaconi. Questi sette uomini si assicurarono che il cibo fosse distribuito correttamente e che tutti coloro che ne avevano bisogno lo ricevessero.

E il risultato? La parola di Dio si diffuse! Sempre più persone a Gerusalemme credettero. E perfino un gran numero di sacerdoti, provenienti dai leader ebrei, credette.

Entrambe le cose sono necessarie. Dobbiamo prenderci cura delle persone, ma non possiamo assolutamente farlo senza parlare e proclamare la parola di Dio, obbedendo al comando di Gesù di fare discepoli. Molti hanno creduto che basti fare opere buone e il mondo saprà che seguiamo Gesù grazie a questo.

No, non è così.

Nessuno si chiede spontaneamente il perché siamo brave persone. Nessuno passa il tempo a pensare a come diventare come noi.

Sì, le nostre azioni devono essere coerenti con le nostre parole. Ma devono esserci anche le parole.

C’è una frase attribuita erroneamente a Francesco d’Assisi che dice:

Predica il Vangelo in ogni momento. Usa le parole se necessario.

Innanzitutto, è importante sapere che lui non ha mai detto questa frase. Francesco incoraggiava certamente il suo ordine francescano a far corrispondere le loro azioni alle loro parole, ma questa citazione non può essere attribuita a lui con certezza.

In secondo luogo, questa frase è anche contraria alle Scritture, a ciò che Gesù e la Bibbia insegnano. Gesù ci ha detto che dobbiamo fare discepoli, insegnando loro a obbedire a tutto ciò che ha comandato. Non solo insegnare, ma insegnare a obbedire, a mettere in pratica ciò che ha detto di fare.

O, come chiese Paolo alla chiesa di Roma: come possono credere, se nessuno predica loro? O, per dirla in un altro modo, se nessuno glielo dice?

Le nostre azioni devono seguire e allinearsi alle nostre parole, ma non dimentichiamoci che dobbiamo anche, come fece la prima chiesa, parlare le parole di vita, raccontare agli altri di Cristo e insegnare loro a seguirlo, facendo ciò che ha detto di fare. In questo modo, vedremo anche la diffusione della parola di Dio e molti arriveranno a conoscerlo.

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Oltraggiati per il nome di Gesù

Pietro e Giovanni continuavano a mettersi nei guai. Erano già stati portati davanti al sommo sacerdote e ad alcuni degli altri capi e accusati dai sadducei di predicare la risurrezione. Ora, erano stati trascinati davanti al Sinedrio, l’intero consiglio della leadership ebraica, per ricevere il loro giudizio e la loro punizione per aver continuato a predicare e insegnare nel nome di Gesù.

Alla fine, Gamaliele convinse i leader del Sinedrio a lasciarli andare, dicendo che se ciò che stavano facendo veniva da Dio, nemmeno loro, come capi d’Israele, avrebbero potuto fermarli. E quanto aveva ragione!

Così furono battuti. Pietro e Giovanni furono flagellati lì, nel Sinedrio. E cosa fecero mentre uscivano? Non si misero a lamentarsi né a leccarsi le ferite per il pestaggio che avevano subito.

Se ne andarono esultando!

Essi dunque se ne andarono via dal sinedrio, rallegrandosi di essere stati ritenuti degni di essere oltraggiati per il nome di Gesù. E ogni giorno, nel tempio e per le case, non cessavano di insegnare e di portare il lieto messaggio che Gesù è il Cristo.

Atti 5:41-42

Quanti di noi farebbero lo stesso? Gran parte della nostra vita è costruita intorno al tentativo di evitare il dolore. Gran parte della nostra vita è costruita intorno al tentativo di evitare la vergogna, di evitare l’imbarazzo.

Ma Pietro e Giovanni sapevano che questa non poteva essere la storia della loro vita. Sapevano di aver sperimentato una nuova vita, una vita eterna. Anche se la loro vita fosse stata accorciata qui sulla terra, avevano una vita eterna a cui guardare con speranza. Anche se la loro vita fosse stata considerata un’onta dagli altri sulla terra, avevano una vita eterna da attendere con gioia.

Esultarono per il fatto di poter essere battuti, di poter essere disonorati, di poter essere umiliati a causa del nome di Gesù.

Faceva piacere? Certo che no. Erano forse masochisti e volevano continuare a soffrire? Presumo di no.

Ma alla fine, contava per loro? No. L’unica cosa che contava era la gloria di Cristo e il fatto che il maggior numero possibile di persone potesse essere salvato e portare gloria al nome di Gesù. Questo era ciò che contava allora, e ciò che conta ancora oggi.

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Popolani senza istruzione

Ora guidavano un movimento di più di 5000 uomini, come ci racconta Luca in Atti 4. Non solo videro i primi 3000 unirsi a loro il giorno di Pentecoste, ma successivamente, giorno dopo giorno, continuarono ad aggiungere sempre più discepoli mentre si recavano nei cortili del tempio per predicare e poi si riunivano come Chiesa, in effetti l’unica Chiesa di quel tempo, di casa in casa. Facevano questo ogni giorno, perché era la cosa più importante nelle loro vite.

Ovviamente, quando i sacerdoti e gli altri leader ebrei videro i discepoli predicare e insegnare al popolo, specialmente nei cortili del tempio, ne furono turbati, perché insegnavano su Gesù, spiegando alla gente che era il Messia, che era stato ucciso da quegli stessi leader, e che era risorto. Questo disturbò i Sadducei, una particolare setta di leader ebrei che sostenevano che la resurrezione non fosse possibile, una posizione che molti ebrei avevano mantenuto almeno fino all’epoca successiva alla costruzione del secondo tempio.

Ora, i Sadducei fecero arrestare Pietro e Giovanni a causa della loro predicazione sulla resurrezione, e questi avrebbero poi dovuto affrontare un processo davanti a tutti i leader, incluso il sommo sacerdote del tempo, Caifa. Le stesse persone che avevano mandato Gesù a morte tramite Ponzio Pilato ora avevano Pietro e Giovanni nelle loro mani e stavano elaborando piani su cosa fare.

Tuttavia, avevano una sfida davanti a loro. Per prima cosa, Pietro e Giovanni avevano compiuto un miracolo guarendo un uomo zoppo che non poteva camminare. Ora quest’uomo camminava liberamente.

In secondo luogo, erano semplicemente uomini comuni:

Essi, vista la franchezza di Pietro e di Giovanni, si meravigliavano, avendo capito che erano popolani senza istruzione; riconoscevano che erano stati con Gesù

Atti 4:13

In qualche modo, Dio stava semplicemente usando uomini ordinari che compivano miracoli e insegnavano nuove dottrine su Gesù, colui che loro stessi avevano recentemente ucciso. Tutto ciò che stavano facendo, tutto ciò che stavano insegnando e tutto ciò che Pietro e Giovanni rappresentavano era in opposizione a questi leader ebrei. Dio non stava usando loro. Non stava usando il sommo sacerdote e i leader. Le loro parole non erano confermate da miracoli. E le folle non si radunavano dietro di loro nello stesso modo. Come poteva essere?

Quello che Caifa e gli altri leader notarono era giusto: erano stati con Gesù. Lo conoscevano. Insegnavano ciò che Gesù aveva insegnato. Facevano ciò che Gesù aveva fatto.

E ora, molto di più.

Quello che Gesù aveva fatto, quello che aveva detto loro, quello che li aveva incaricati di essere e fare si stava realizzando ed avverando. Stava iniziando. Stava accadendo. Stava andando avanti, ma non stava accadendo attraverso i “sapienti” o i “dotti”, bensì attraverso i semplici. Stava accadendo attraverso gli incolti e gli ordinari.

La differenza? Erano stati con Gesù.

Anche noi possiamo fare lo stesso. Anche noi riceviamo lo Spirito Santo e possiamo essere con Gesù. Possiamo essere un popolo che trascorre tempo con lui, che impara da lui, che diventa suo discepolo. E quando lo facciamo, possiamo aiutare altri a trovare la vita in Cristo. Proprio come vediamo Pietro e Giovanni portare il messaggio di Cristo, il messaggio della resurrezione e della nuova vita a tutta l’umanità che è spiritualmente morta nei suoi peccati, anche noi possiamo fare lo stesso.

Ma dobbiamo camminare con lui. Dobbiamo essere con lui. Questo non può accadere da soli. Invece, come disse Gesù, dobbiamo rimanere connessi a lui. Lui è la vera vite. Noi siamo i tralci.

Un modo in cui facciamo questo qui è quello di partecipare a un gruppo, che chiamiamo la “banda”, e incontrarci settimanalmente per incoraggiarci a vicenda e camminare insieme. Anche noi possiamo camminare con Cristo, dimorare con lui, e questo ci permette, come persone ordinarie, di portare lo stesso messaggio che Pietro e Giovanni portarono al popolo, anche a coloro che ci circondano, affinché Gesù sia conosciuto e altri possano vivere in lui.

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Quello che ho, te lo do

Pietro si chinò e afferrò la mano dell’uomo zoppo, aiutandolo a rialzarsi. Disse all’uomo, che stava chiedendo l’elemosina davanti alla porta del tempio, che non aveva denaro, ma possedeva il potere di Gesù Cristo dentro di sé.

Pietro donò all’uomo la capacità di camminare. Ora quell’uomo poteva lavorare per sé stesso, non più elemosinando davanti alla porta come aveva fatto giorno dopo giorno, dipendendo dagli altri per qualche moneta, ma poteva camminare!

Ma Pietro disse: «Dell’argento e dell’oro io non ne ho; ma quello che ho, te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, {alzati e} cammina!» Lo prese per la mano destra, lo sollevò; e in quell’istante i piedi e le caviglie gli si rafforzarono.caviglie dell’uomo si rafforzarono.

Atti 3:6-7

Le persone che si trovavano al tempio si radunarono per vedere Pietro. L’uomo era entrato nei cortili del tempio, camminando, saltando e lodando Dio. Che grande miracolo era stato compiuto per un uomo che prima non poteva camminare!

Eppure, Pietro non inizia a parlare alla folla del dono di guarire le persone. Non dice loro che anche loro possono imporre le mani sugli altri, purché credano e ricevano lo Spirito Santo.

No, Pietro parla di un miracolo molto più grande di quello. Pietro racconta loro di come i morti tornano in vita. Parla loro della resurrezione.

E perché?

Pietro sa che anche loro possono tornare in vita. Le persone non si rendono nemmeno conto di essere morte davanti a Dio, ma in Gesù possono essere vivificate. Non si rendono conto di essere come morti viventi, destinati al giudizio. Ma in Gesù possono essere trasformati in ciò che erano stati creati per essere, vivendo come una nuova creazione nell’immagine di Dio!

Il miracolo è la conferma di ciò che Pietro sta dicendo alla folla. Il miracolo è la potenza del regno di Dio che irrompe nel mondo fisico. Tuttavia, non dobbiamo cercare di essere coloro che desiderano solo il miracolo. Dobbiamo cercare colui che può fare ogni cosa e conoscerlo. Dobbiamo conoscere Gesù affinché noi, che eravamo morti, possiamo tornare in vita in lui, perché ciò che lui ha, desidera darlo anche a noi.

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Indegnamente

Come chiesa, celebriamo la Cena del Signore ogni settimana. Non lo facciamo perché crediamo che sia obbligatorio prenderla ogni settimana, ma semplicemente perché è un promemoria regolare di ciò che Gesù ha fatto per noi, oltre che un modo per insegnare alla nostra comunità come prendere la Cena del Signore e condividerla con gli altri. Nella nostra chiesa ci sono diverse persone che sono nuovi credenti, quindi questa è un’opportunità per rafforzare i fondamenti della nostra fede. Inoltre, crediamo che ogni credente sia un sacerdote nel regno di Dio, quindi chiediamo regolarmente a diversi membri della chiesa di guidarci nella celebrazione della Cena del Signore.

Una delle questioni che è sorta all’interno della nostra chiesa riguardo alla Cena del Signore è chi dovrebbe prenderla. Alcuni, specialmente coloro che provengono da altre chiese e tradizioni ecclesiastiche, mi hanno fatto notare nel tempo che qualcuno che forse non avrebbe dovuto prenderla lo ha fatto, ponendomi essenzialmente la domanda sul perché io abbia permesso che accadesse, perché abbia lasciato che quella persona prendesse il pane e il calice. Da lì, a volte queste persone hanno approfondito il discorso con me cercando di spiegare perché la Cena del Signore dovrebbe essere presa in un certo modo, inclusa la questione di chi dovrebbe parteciparvi e chi no. Altre volte, invece, la conversazione finisce lì, con la semplice domanda sul perché quella persona sia stata autorizzata a prendere il pane e il calice.

Oggi, nella nostra lettura quotidiana della Scrittura, siamo arrivati a 1 Corinzi 11, un capitolo che affronta due questioni principali all’interno della chiesa di Corinto. La prima riguarda il velo per le donne durante la preghiera, e la seconda è la celebrazione della Cena del Signore. A un certo punto, tornerò sulla questione del velo per le donne, ma per ora voglio soffermarmi sulla Cena del Signore.

Paolo affronta questo problema con i Corinzi perché ha sentito che ci sono divisioni all’interno della chiesa riguardo alla Cena del Signore. Ai loro tempi, era letteralmente una cena, un pasto, e nel mezzo di quel pasto si prendeva un momento per ricordare ciò che il Signore aveva fatto per loro, proprio come Gesù aveva fatto con i suoi discepoli nell’Ultima Cena. Non si trattava semplicemente di prendere un pezzo di pane e un po’ di vino o succo, come spesso facciamo oggi. Stavano mangiando insieme, e la Cena del Signore doveva essere un momento di unità per il corpo di Cristo. Tutti, che fossero Giudei o Greci, ricchi o poveri, indipendentemente dal loro passato, se facevano parte del corpo di Cristo, dovevano sedersi alla tavola e mangiare insieme come uno solo.

Ma nella chiesa di Corinto c’era un problema. Alcune persone, in particolare i poveri, non avevano cibo e rimanevano affamate. Nel frattempo, i ricchi portavano cibo e vino e arrivavano persino a ubriacarsi mentre mangiavano e bevevano. Ovviamente, questo causava divisioni significative nella chiesa, sia a causa delle differenze socioeconomiche, sia perché si creavano distinzioni tra chi era considerato più o meno importante davanti agli uomini e forse anche davanti a Dio. Alcuni potevano essere visti come aventi una posizione più alta o più importante nel Regno, o nel corpo di Cristo, semplicemente perché potevano mangiare come re, specialmente di fronte a coloro che a malapena potevano permettersi di mangiare come poveri.

È proprio per questo motivo che Paolo dice di non avere alcuna lode per i Corinzi. Ecco cosa dice:

Quando poi vi riunite insieme, quello che fate non è mangiare la cena del Signore; poiché, al pasto comune, ciascuno prende prima la propria cena; e mentre uno ha fame, l’altro è ubriaco. Non avete forse delle case per mangiare e bere? O disprezzate voi la chiesa di Dio e fate vergognare quelli che non hanno nulla? Che vi dirò? Devo lodarvi? In questo non vi lodo.

1 Corinzi 11:20-22

Così Paolo continua a spiegare ciò che ha ricevuto dal Signore. Ricordiamo che, a differenza degli altri Apostoli, lui non era presente. Non era con Gesù durante la Cena del Signore, l’ultima cena di Pasqua che Gesù ha mangiato con i suoi discepoli. Quindi, invece, Paolo ha ricevuto questa pratica – come lui stesso dice, dal Signore – e ora l’ha trasmessa ai Corinzi, e presumibilmente anche alle altre chiese:

Poiché ho ricevuto dal Signore quello che vi ho anche trasmesso; cioè, che il Signore Gesù, nella notte in cui fu tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «[Prendete, mangiate;] questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me». Nello stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne berrete, in memoria di me. Poiché ogni volta che mangiate questo pane e bevete da questo calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga».

1 Corinzi 11:23-26

Ma ora arriviamo al fulcro della questione, credo. Penso che sia proprio qui che nascono la maggior parte delle nostre controversie e dei nostri disaccordi, quindi voglio dedicare un momento a parlare di questi prossimi versetti. Nei versetti 27 e 28, Paolo dice che potremmo commettere un peccato – nello specifico, un peccato contro il corpo e il sangue di Cristo – mentre prendiamo il pane e il calice. Dice che dobbiamo esaminare noi stessi per evitare di fare questo. Ecco i versetti:

Perciò, chiunque mangerà il pane o berrà dal calice del Signore indegnamente sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. Ora ciascuno esamini se stesso, e così mangi del pane e beva dal calice;

1 Corinzi 11:27-28

A cosa si riferisce Paolo qui? Quando dice che se mangiamo il pane e beviamo dal calice in modo indegno, saremo colpevoli di peccare. Di cosa sta parlando?

Per cercare di rispondere a questa domanda, iniziamo con un’altra domanda: possiamo mai essere degni del corpo e del sangue di Cristo? È possibile per noi purificarci abbastanza da essere degni di prendere il pane e il calice della Cena del Signore?

Credo che la risposta a questa domanda sia un deciso No. Non esiste alcun modo in cui possiamo essere degni di prendere il pane e il calice. In effetti, il motivo stesso per cui prendiamo il pane e il calice è che siamo completamente indegni. Abbiamo peccato e siamo assolutamente dipendenti dal corpo e dal sangue di Cristo affinché ci rendano puri davanti a Dio. Solo il suo sacrificio può pagare per i miei peccati. Non ho fatto nulla per meritare la salvezza dall’ira di Dio. Posso solo avere fede che Dio mi salverà perché ho posto la mia fiducia nel sacrificio di Cristo. Questo è tutto, nient’altro. Questo è l’unico motivo per cui potrei essere considerato degno di qualcosa mentre sto davanti a Dio. Non posso fare nulla per meritare il suo favore, la sua misericordia e la sua grazia.

Quindi, non posso essere abbastanza buono davanti a Dio. Non posso essere abbastanza degno. E proprio perché questo è vero, credo che dovremmo considerare attentamente le nostre pratiche all’interno della chiesa, specialmente quando pensiamo alla Cena del Signore.

Ad esempio, ho visto situazioni in cui, nelle chiese, le persone non prendono la Cena del Signore perché sono peccatori. In quel momento non si sentono degni di prenderla, e questo sentimento viene confermato da altri che dicono loro che non dovrebbero partecipare alla Cena del Signore. Hmm… Sì, in realtà, il loro sentimento probabilmente è corretto. Non si sentono degni perché non lo sono. Stanno sentendo il peso del loro peccato mentre stanno davanti a Dio. Ma la verità è che nessun altro che partecipa alla Cena del Signore quel giorno è degno. Per dirlo di nuovo, né coloro che non si sentono degni sono degni di prendere la Cena del Signore, né coloro che si sentono degni. Nessuno dei due. Solo il sacrificio di Cristo, il suo corpo spezzato e il suo sangue versato, ci rende degni.

Presumo che Paolo sappia che, con le proprie forze, nessuno è degno di prendere la Cena del Signore. Pertanto, presumo anche che si stia riferendo a qualcos’altro in questi versetti. Deve avere in mente qualcos’altro quando dice che non dovrebbero prendere la Cena del Signore in modo indegno, e suggerirei che Paolo si stia riferendo esattamente a ciò di cui ha parlato in tutto questo capitolo. Sta dicendo loro che dovrebbero prendere la Cena del Signore in modo degno, basandosi su ciò che ha detto nel capitolo 11.

Paolo ha detto ai Corinzi che non dovrebbero esserci divisioni tra loro. Non dovrebbero esserci alcuni che hanno cibo e altri che non ne hanno. Non dovrebbero avere, né creare, divisioni tra loro, ed è proprio questo che stanno facendo permettendo che alcuni abbiano cibo e bevande mentre altri non ne hanno. Egli spiega questo sia prima di ricordare loro come dovrebbero prendere la Cena del Signore nei versetti 18-22, sia dopo nei versetti 33-34. Infatti, in questi ultimi versetti, spiega ancora più nel dettaglio come dovrebbero mangiare insieme come un unico corpo di Cristo, in unità:

Dunque, fratelli miei, quando vi riunite per mangiare, aspettatevi gli uni gli altri. Se qualcuno ha fame, mangi a casa, perché non vi riuniate per attirare su di voi un giudizio. Quanto alle altre cose, le regolerò quando verrò.

1 Corinzi 11:33-34

Penso sia significativo che Paolo sembri dare istruzioni sia ai ricchi che ai poveri. Ai ricchi, dice che dovrebbero discernere il corpo di Cristo. Dovrebbero rendersi conto che i poveri che sono tra loro fanno anch’essi parte del corpo di Cristo e che tutti dovrebbero mangiare insieme. Non dovrebbero organizzare feste private solo perché hanno cibo e bevande. Dovrebbero mangiare insieme, possibilmente provvedendo anche per gli altri, oppure non mangiare affatto, come stanno facendo gli altri. Anche astenersi dal mangiare un pasto abbondante sarebbe più in linea con ciò che Paolo ha insegnato, persino risalendo al capitolo 10, dove ha detto che non avrebbe mangiato se questo avesse causato la caduta o la perdita della fede di qualcun altro.

Inoltre, Paolo ha dato istruzioni ai poveri. Per coloro che hanno fame quando si avvicinano alla Cena del Signore – ricordiamo che stavano mangiando un pasto completo – dovrebbero mangiare qualcosa a casa affinché non si creino divisioni e affinché il giudizio non ricada su di loro a causa di queste divisioni che stavano sorgendo tra di loro.

Credo, quindi, che tutta questa discussione sulla dignità sia principalmente una questione di mantenere l’unità tra i credenti attraverso la Cena del Signore quando sono insieme. Quando Paolo dice che stanno prendendo la Cena del Signore in modo indegno, è principalmente a causa della pratica dei Corinzi di creare divisioni tra di loro. Credo che questa interpretazione sia coerente con ciò che Paolo ha insegnato nel corso del capitolo 11 e con ciò che ha insegnato in tutta la sua lettera ai Corinzi. Il loro problema principale era che stavano vivendo divisioni all’interno della chiesa per vari motivi, incluso il modo in cui stavano prendendo la Cena del Signore. Paolo, quindi, li incoraggia a creare unità in Cristo, mai divisione.

Ovviamente, dire questo potrebbe portarci a porci altre domande. Eccone alcune:

Prima domanda: Qual era lo scopo di ciò che Gesù fece con il pane e il calice durante la Cena del Signore, la prima Cena del Signore? E perché comandò loro di continuare a prenderla?

Gesù comandò ai suoi discepoli di andare a preparare il pasto di Pasqua. La prima Cena del Signore fu celebrata nel contesto della celebrazione della Pasqua ebraica. La Pasqua era la festa che Dio aveva comandato agli Israeliti di celebrare per ricordare come Egli fosse “passato oltre” le case degli Israeliti mentre attraversava l’Egitto, uccidendo ogni primogenito e inducendo così il faraone a ordinare finalmente la liberazione degli Israeliti.

Allo stesso modo, Gesù fu messo a morte sulla croce, e il suo sangue ha impedito che l’ira di Dio ricadesse su di noi nel giudizio, poiché poniamo la nostra fede nel sacrificio di Cristo. Proprio come gli Israeliti avevano riposto la loro fede nel sangue dell’agnello che avevano sparso sugli stipiti delle loro porte, anche noi riponiamo la nostra fede nel sangue dell’Agnello, cioè Gesù.

Durante il pasto, Gesù prese il pane e ne diede ai discepoli, dicendo loro che era il suo corpo che sarebbe stato spezzato per loro. Poi, dopo il pasto, diede loro del vino, dicendo che era il sangue della nuova alleanza, versato per loro. Ecco i versetti con le sue parole:

Mentre mangiavano, Gesù prese del pane e, dopo aver pronunciato la benedizione, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli dicendo: «Prendete, mangiate, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro dicendo: «Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue, il sangue del [nuovo] patto, il quale è sparso per molti per il perdono dei peccati.

Matteo 26:26-28

Avvicinandoci a questo momento, vediamo che Gesù aveva detto ai discepoli che sarebbero andati a Gerusalemme, che sarebbe stato consegnato alle autorità e che sarebbe stato ucciso. Ma è chiaro che i discepoli non avevano capito. Continuavano a credere che Gesù, come Messia, stesse entrando a Gerusalemme per diventare re. Immaginavano il Messia come un re su Israele, pronto a riprendersi il trono politico di Davide e a liberare il popolo dall’oppressivo governo romano. Si aspettavano che il regno, il regno politico, fosse restaurato in Israele.

Ma Gesù sta usando il pane e il calice come una lezione oggettiva per spiegare loro che il suo corpo sarebbe stato spezzato e il suo sangue versato affinché potessero tornare ad essere il popolo di Dio, perché erano stati rinnovati attraverso la Nuova Alleanza nel suo sangue. Lo chiamo una lezione oggettiva perché questo è esattamente ciò che noi, come evangelici protestanti, spieghiamo: il pane e il calice rappresentano il corpo e il sangue di Cristo. Non sono il corpo e il sangue, ma rappresentano la realtà del corpo di Cristo spezzato per noi e del suo sangue versato per noi. Quello che Gesù fece in quel momento con i suoi discepoli, noi lo facciamo ancora oggi, condividendo insieme la Cena del Signore.

Gesù sapeva anche che, come esseri umani, siamo molto bravi a dimenticare ciò che Dio ha fatto per noi. Andiamo avanti con le nostre vite, ci facciamo prendere dalle preoccupazioni quotidiane e dimentichiamo ciò che Dio ha fatto per noi. È per questa ragione che Dio ha dato al suo popolo momenti di memoria, altari che furono eretti in tutto Israele per ricordare ciò che Dio aveva fatto per loro in quel luogo e in quel tempo. È per lo stesso motivo che Dio comandò al suo popolo di continuare a celebrare le feste. Voleva che ricordassero ciò che Dio aveva fatto per loro, che raccontassero le storie, che ricordassero la fedeltà di Dio verso il suo popolo, il popolo d’Israele.

Nella Cena del Signore, Gesù fece lo stesso con i suoi discepoli. Sì, Gesù aveva detto alle persone che dovevano mangiare la sua carne e bere il suo sangue, ma non intendeva questo in senso letterale quando lo disse a Cafarnao dopo aver sfamato i 5000, e certamente non lo intende in senso letterale ora, mentre prende la Cena del Signore. Questi elementi rappresentano simbolicamente il suo corpo e il suo sangue, che noi prendiamo per essere ricordati dell’incredibile dono dell’amore, della grazia e della misericordia di Dio concessi a ciascuno di noi attraverso la morte di Cristo sulla croce.

Ora, seconda domanda: e se degli increduli entrano nell’assemblea della chiesa? Dovrebbero prendere la Cena del Signore?

Per rispondere, dirò che credo che dobbiamo essere chiari sul significato e sul valore del pane e del calice. Dobbiamo essere assolutamente chiari sul fatto che stiamo celebrando la morte di Cristo, come Gesù ci ha insegnato a fare, e che solo attraverso la sua morte e risurrezione siamo resi giusti davanti a Dio. Questo è ciò che Gesù ha fatto mentre celebrava la Pasqua, e possiamo imitarlo anche nella nostra pratica.

Ma le persone non dovrebbero essere battezzate prima di prendere la Cena del Signore? Personalmente, pur comprendendo perché alcune chiese dicono questo e lo usano come un modo per fare una distinzione, non credo che vediamo un requisito tecnico per il battesimo prima della Cena del Signore. In altre parole, non esiste una sequenza precisa che dica: prima si è battezzati e poi si prende la Cena del Signore. Ecco il mio ragionamento:

  • Oggi, data la nostra comprensione del Vangelo di Cristo, il battesimo non è solo un battesimo di pentimento, come lo era ai tempi in cui Giovanni Battista predicava il battesimo, o persino ai tempi di Cristo. Oggi, il nostro battesimo mostra pubblicamente che ci siamo sia pentiti che abbiamo posto la nostra fede in Cristo per il perdono dei nostri peccati e abbiamo una nuova vita in Cristo, che ci permette di entrare nel regno di Dio.
  • Ai tempi di Gesù, non credo che possiamo dire che avessero la stessa comprensione. Come ho notato sopra, i discepoli stavano ancora aspettando che Gesù diventasse il Messia che si aspettavano fosse. Avevano sentito Gesù dire loro che sarebbe stato ucciso, ma leggendo i Vangeli, credo che questo sia in realtà il primo momento in cui Gesù dice che il suo sangue sarà versato per il perdono dei peccati. Sì, abbiamo visto che Gesù aveva l’autorità di perdonare i peccati, e vediamo che Gesù comandò ai suoi discepoli di perdonare gli altri, ma credo che questo sia il primo momento in cui vediamo il collegamento tra la morte e la risurrezione di Gesù e l’idea che possiamo ricevere il perdono per i nostri peccati.
  • Ora, mentre Gesù spiega loro questo, supponendo che sia la prima volta che lo dice, significa che tutti loro in quel momento credettero in Cristo sia come Signore che come Salvatore? Che tutti compresero che dovevano avere fede nella sua morte e risurrezione per ricevere la salvezza? Non credo che possiamo affermarlo con certezza.

Quindi, la Cena del Signore è per i credenti e seguaci di Cristo? Assolutamente sì. Dobbiamo prendere la Cena del Signore seguendo i comandamenti di Cristo. Ma allo stesso tempo, credo che dovremmo considerarla più come un modo per comprendere e ricordare il sacrificio di Gesù, piuttosto che come un criterio per determinare chi è dentro e chi è fuori. Il battesimo nella morte di Cristo e la risurrezione alla vita in Cristo, invece, è la dimostrazione pubblica della nostra fede in lui per la nostra salvezza.

Dal punto di vista pratico, ecco un esempio di come questo è stato vissuto nella nostra chiesa: un uomo musulmano ha iniziato a frequentare la chiesa e, la prima volta che abbiamo distribuito il pane e il calice, ha afferrato il pane dal vassoio e ha messo il pane e il succo in bocca senza nemmeno pensarci, ancor prima che avessimo l’opportunità di spiegargli il significato.

Ma da quel momento in poi, una volta compreso il significato del pane e del calice, non l’ha più preso, decidendo invece di astenersi perché non era ancora arrivato a un punto della sua comprensione in cui credeva nel corpo e nel sangue di Cristo dati per lui.

Ma riflettiamoci un attimo: non lo abbiamo fermato la prima volta. Non abbiamo allontanato la sua mano dal vassoio. Lo ha preso. È una bestemmia? Ha portato giudizio su sé stesso? L’ha preso in modo indegno? O, ancora peggio, lo abbiamo indotto in errore permettendogli di prenderlo?

No, lo ha preso nell’ignoranza. Non stava facendo nulla con malizia contro il corpo e il sangue di Cristo. Stava semplicemente mangiando uno spuntino!

Ma poi ha capito e ha realizzato che questo non era ancora per lui. Poiché non aveva posto la sua fede in Cristo come Signore e Salvatore, ha scelto di astenersi, almeno per ora.

Eppure, continua a venire. Si siede e ascolta. Sta cercando di capire. Noi preghiamo per lui, affinché comprenda che Dio ha dato sé stesso per lui. Ritengo che tutto questo faccia parte del processo di discepolato, insegnandogli a osservare tutto ciò che Gesù ci ha comandato di fare, sia a lui che a noi.

Ora, ultima domanda: e se qualcuno ha un peccato non confessato nella sua vita? Dovrebbe prendere la Cena del Signore?

Per prima cosa, lasciatemi dire che non c’è nessun passo nella Bibbia che dica che, come credenti, dovremmo astenerci dal prendere la Cena del Signore. Anzi, anche se leggiamo il passo sopra fuori dal suo contesto, dove si dice che dovremmo esaminare noi stessi prima di prendere la Cena del Signore, non ci viene detto di non prenderla. Invece, se durante l’esame di noi stessi ci rendiamo conto che dobbiamo pentirci per un peccato nella nostra vita, dobbiamo semplicemente pentirci.

Allo stesso modo, come Gesù ha predicato nel sermone sul monte, disse:

Se dunque tu stai per offrire la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì la tua offerta davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con tuo fratello; poi vieni a offrire la tua offerta.

Matteo 5:23-24

No, quei versetti non parlano direttamente della Cena del Signore, ma credo che ci diano istruzione e un’indicazione su ciò che dobbiamo fare. Prima di venire ad adorare il Signore, se c’è qualcosa che deve essere risolto, vai a risolverlo. Pentiti. Ora. Questa è la nostra risposta al sacrificio di Cristo. Questo è ciò che deve essere fatto. Non dobbiamo essere ulteriormente disobbedienti ai comandamenti di Gesù e non prendere la Cena del Signore come lui ci ha detto di fare. Invece, dobbiamo andare e pentirci.

Non possiamo renderci degni da soli, ma possiamo pentirci e chiedere perdono. Questo sì, possiamo farlo, quindi, sia che si tratti di qualcosa che dobbiamo fare davanti al Signore, sia che riguardi un’altra persona, questa è la chiamata che abbiamo in quel momento. Sia come credenti che come non credenti, Cristo ci chiama al pentimento, alla riconciliazione e al perdono. Non c’è altro modo per essere degni se non attraverso il pentimento, ed è questo che dobbiamo fare, continuando poi a prendere la Cena del Signore proprio come Gesù ci ha comandato di fare.

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Chi ha davvero ucciso Gesù?

È una sorta di storia del tipo “chi l’ha fatto?”. Oppure, come spesso accade anche oggi, si potrebbe dire che è stata una grande cospirazione.

Gesù fu ucciso, condannato e mandato a morire, pur essendo stato trovato innocente dal suo giudice. Com’è possibile?

Per un certo periodo, i capi dei Giudei, i Farisei, i maestri della legge, cercarono modi per ucciderlo. Gesù parlava contro di loro. Minava il loro potere. Parlava della loro ipocrisia. E così cercavano un modo per sbarazzarsi di lui.

Alla fine, questi capi, con il sommo sacerdote a guidare il complotto, crearono accuse che sapevano avrebbero portato la folla dalla loro parte. Crearono una folla inferocita, e la incitarono a tal punto che questa invocò la morte di un uomo che non aveva fatto nulla di male. E, cosa ancora peggiore, lasciarono libero un uomo colpevole di omicidio e insurrezione. Tutto in questa scena, tutto nel modo in cui agivano queste persone, era capovolto!

Ma non avevano il potere di uccidere Gesù. Potevano assassinarlo, ma avrebbero poi dovuto rispondere allo stato. Avrebbero dovuto rispondere al governo romano. No, i Giudei non erano in grado di ucciderlo da soli. Dovevano in qualche modo convincere il governo romano a farlo per loro. Dovevano trovare un modo per far condannare Gesù dai Romani, così da non avere questa colpa sulle proprie mani e poter puntare il dito contro i Romani. Sarebbe stata colpa loro se Gesù fosse morto.

E i Giudei pensavano di avere un buon motivo per portare Gesù davanti a Pilato per il giudizio e l’esecuzione. Se c’era qualcosa che i Romani non avrebbero tollerato, se c’era veramente un peccato imperdonabile, era quello di guidare un colpo di stato nel tentativo di rovesciare i Romani. La fedeltà a Cesare era di massima importanza. La disobbedienza al governo romano non sarebbe stata tollerata.

Ed ecco allora l’accusa che i capi dei Giudei portano a Pilato: “Dichiara di essere il Messia, un re! Dichiara di essere il re dei Giudei!”

Pilato gli chiese, probabilmente con un po’ di sarcasmo e un sorriso beffardo mentre guardava l’uomo davanti a sé: “È vero?”.

“Lo dici tu,” rispose Gesù.

Pilato capisce subito il tranello che i capi dei Giudei stanno cercando di tendergli. Non ci crede nemmeno per un momento. Infatti, dichiara immediatamente l’innocenza di Gesù. Non è possibile. Non c’è modo che quest’uomo stia guidando una rivoluzione contro il governo romano. Guardatelo! Ha forse un esercito al suo seguito? Non è il comportamento di un re in arrivo che vuole rovesciare il dominio romano.

Eppure, attraverso una serie di manovre e per il desiderio di mantenere la pace, o essere benvoluto, o qualunque fosse la sua vera motivazione, Ponzio Pilato finisce per decidere di mandare Gesù a morte. Lo condanna a una morte orribile sulla croce, con un cartello sopra la testa di Gesù che recita, probabilmente come scherno verso i Giudei e segno del dominio romano: “Il Re dei Giudei”.

Ma furono i Giudei o i Romani a doversi prendere la colpa? Dovremmo incolpare i capi dei Giudei perché furono loro a istigare e iniziare la condanna di Gesù? O dovremmo invece incolpare i Romani perché furono loro a eseguire la sentenza di condanna di un uomo innocente?

La risposta è: sì, entrambi sono colpevoli, eppure la risposta è anche no, non sono pienamente colpevoli. Perché? Perché c’è un’altra parte coinvolta in questa conversazione che non ho ancora menzionato. Chi è?

È Dio stesso.

Dopo che Gesù tornò in cielo e lo Spirito Santo scese sui discepoli a Gerusalemme, Pietro si alzò e cominciò a parlare. Spiegò cosa era veramente successo, cosa stava davvero accadendo in mezzo a loro:

Uomini d’Israele, ascoltate queste parole! Gesù il Nazareno, uomo che Dio ha accreditato fra di voi mediante opere potenti, prodigi e segni che Dio fece per mezzo di lui tra di voi, come voi stessi ben sapete, quest’uomo, quando vi fu dato nelle mani per il determinato consiglio e la prescienza di Dio, voi [lo prendeste e], per mano di iniqui, inchiodandolo sulla croce, lo uccideste;

Atti 2:22-23

Su chi Pietro pone la colpa per la morte di Gesù? Si sta rivolgendo ai Giudei, dicendo “Israeliti”, e afferma che Gesù fu consegnato nelle loro mani. Ma di chi era in realtà il piano affinché Gesù fosse consegnato ai Giudei? Era di Dio! È il piano di Dio. È lui che ha ideato il piano per uccidere Gesù. Sapeva in anticipo cosa avrebbe fatto. Dio è colui che ha usato la gelosia e la rabbia dei Giudei, insieme agli “uomini iniqui”, riferendosi a Ponzio Pilato e ai Romani, per uccidere Gesù. Era il piano di Dio che portò Gesù alla sua morte!

Possiamo vedere questa realtà profetizzata e prefigurata in diversi luoghi nell’Antico Testamento, sebbene nessuno sia più chiaro nell’esprimere il piano di Dio di Isaia 53. In particolare, possiamo osservare gli ultimi versetti del capitolo:

Ma il SIGNORE ha voluto stroncarlo con i patimenti. Dopo aver dato la sua vita in sacrificio per il peccato, egli vedrà una discendenza, prolungherà i suoi giorni, e l’opera del SIGNORE prospererà nelle sue mani.

Dopo il tormento dell’anima sua vedrà la luce e sarà soddisfatto; per la sua conoscenza, il mio servo, il giusto, renderà giusti i molti, si caricherà egli stesso delle loro iniquità.

Perciò io gli darò in premio le moltitudini, egli dividerà il bottino con i molti, perché ha dato se stesso alla morte ed è stato contato fra i malfattori; perché egli ha portato i peccati di molti e ha interceduto per i colpevoli.

Isaia 53:10-12

Quest’uomo è chiaramente identificato come colui che è stato schiacciato e ha sofferto come pagamento per i peccati del popolo. Ma ciò che è ancora più importante è l’allineamento di ciò che dice Isaia con ciò che dice Pietro: è la volontà del Signore. È il piano di Dio. Infatti, è Dio stesso che offre Gesù come sacrificio per il perdono dei peccati. Questo è il piano di Dio.

Quindi, chi ha veramente ucciso Gesù? Grazie a Dio, è stato Dio che, nel suo amore e nella sua misericordia per il suo popolo, ha offerto sé stesso nella persona di Gesù come sacrificio per il perdono dei peccati.

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Sarete battezzati in Spirito Santo

Dopo che Gesù fu risorto e si stava preparando a tornare al Padre, un giorno era seduto a mangiare con i suoi discepoli. In precedenza aveva detto loro che avrebbe mandato lo Spirito Santo, ma ora li esortò a rimanere a Gerusalemme per aspettare il dono che doveva arrivare, il dono dello Spirito Santo.

Anche Giovanni Battista aveva parlato di questa stessa cosa. Aveva detto ai suoi discepoli che non era nemmeno degno di sciogliere i lacci dei sandali del Messia, perché lui battezzava solo con acqua, ma la vera potenza era in arrivo:

Giovanni rispose loro, dicendo: «Io battezzo in acqua; in mezzo a voi è presente uno che voi non conoscete, [egli è] colui che viene dopo di me [e che mi ha preceduto], al quale io non sono degno di sciogliere il legaccio dei calzari!»

Giovanni 1:26-27

Giovanni rese testimonianza, dicendo: «Ho visto lo Spirito scendere dal cielo come una colomba e fermarsi su di lui. Io non lo conoscevo, ma colui che mi ha mandato a battezzare in acqua mi ha detto: “Colui sul quale vedrai lo Spirito scendere e fermarsi, è quello che battezza con lo Spirito Santo”. E io ho veduto e ho attestato che questi è il Figlio di Dio».

Giovanni 1:32-34

Giovanni lo vide. Sapeva cosa stava accadendo. Capì chi fosse veramente Gesù, e questo gli permise di comprendere chi fosse veramente lui stesso. Sì, persone da tutta la Giudea venivano da lui per pentirsi e farsi battezzare, ma lui sapeva che in confronto alla vera potenza che viene dal cielo, alla vera potenza data dall’Eletto di Dio, il Messia, Gesù Cristo stesso, lui non era nulla.

Giovanni sapeva cosa contava davvero. Sì, dal punto di vista umano, possiamo compiere l’azione di entrare nell’acqua e farci battezzare da altri. Questo accade nel mondo fisico, dove possiamo vederlo. Diventa una testimonianza della decisione che abbiamo preso, un segno del cambiamento avvenuto dentro di noi come risultato dell’opera di Dio nella nostra vita.

Ma davanti a Dio, ciò che conta veramente è il dono dello Spirito Santo. Attraverso il dono dello Spirito Santo, siamo resi vivi davanti a Dio. Non più spiritualmente morti, ci viene invece data una nuova vita! Siamo spiritualmente risorti e fatti nuove creature davanti al Signore. Questa è la nostra identità e il nuovo essere che lui ci ha dato.

Così Gesù conferma ciò che Giovanni aveva detto ai suoi discepoli. Egli dice loro:

Trovandosi con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’attuazione della promessa del Padre, «la quale», egli disse, «avete udita da me. Perché Giovanni battezzò, sì con acqua, ma voi sarete battezzati in Spirito Santo fra non molti giorni».

Atti 1:4-5

Lo Spirito Santo cambierà tutto. Sarà il rilascio della potenza di Dio, prima sui discepoli e poi su tutti i credenti in Cristo. È un dono che Dio continuerà a dare, non solo ai Giudei credenti, ma ora anche ai Gentili.

Lo Spirito Santo cambierà completamente le persone in cui viene a dimorare. Trasformerà i discepoli da timidi in incredibilmente coraggiosi. Li cambierà dall’avere pregiudizi verso i Gentili all’accettazione e all’amore, e li aiuterà a passare da vite guidate dalla carne a vite caratterizzate da amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza e autocontrollo. Queste cose, e molte altre, saranno i segni del cambiamento che lo Spirito Santo porterà nella vita dei discepoli che lo riceveranno.

E mentre siamo davanti a Dio, è lo Spirito Santo che fa la differenza. Dio ci “segna” con lo Spirito Santo, sigillandoci nel suo regno, come parte del suo popolo. È così che Dio sa, e noi sappiamo, che siamo suoi, che abbiamo ricevuto il dono dello Spirito Santo e che camminiamo secondo lo Spirito, non più secondo la carne, perché Gesù ci ha battezzati con il suo Spirito Santo.

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Come il più piccolo

Fare il lavoro che facciamo ora in un contesto spirituale o “religioso” mi ha dato un posto in prima fila per osservare come noi, esseri umani, ci allineiamo all’interno delle gerarchie. Per nessun altro motivo che riesco a discernere, se non che tendo ad essere colui che parla e quindi insegna agli altri, e forse – o, per essere onesti, direi probabilmente – anche perché sono americano e sembra che spesso venga considerato una persona che ha denaro e che può essere utile agli altri finanziariamente o in termini di influenza, mi trovo spesso in conversazioni in cui le persone mi dicono che vogliono fare il “lavoro di Dio” per me o come parte di un’organizzazione insieme.

Non sto dicendo che le organizzazioni siano negative, ma Gesù avvertì i suoi discepoli contro questa tendenza a creare gerarchie di persone che stanno sopra e quelle che stanno sotto.

Infatti, i discepoli stavano discutendo su chi fosse il più grande tra di loro quando Gesù li rimproverò per spiegare loro come dovevano relazionarsi l’uno con l’altro:

Gesù disse loro: «I re delle nazioni dominano su di esse, e coloro che esercitano autorità su di esse si fanno chiamare Benefattori. Ma voi non dovete essere così; anzi, chi è il più grande tra voi diventi come il più giovane, e chi governa come colui che serve. Infatti, chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse chi sta a tavola? Eppure io sono in mezzo a voi come colui che serve. Voi siete quelli che siete rimasti con me nelle mie prove; e io vi assegno un regno, come il Padre mio lo ha assegnato a me, affinché mangiate e beviate alla mia tavola nel mio regno e sediate su troni a giudicare le dodici tribù di Israele.»
Luca 22:25-30

I re delle nazioni si facevano chiamare Benefattori, ma cosa facevano realmente? Dominavano su coloro che stavano sotto di loro. Usavano il loro denaro per ottenere influenza e potere. Coloro che venivano pagati erano obbligati a fare ciò che veniva loro ordinato dagli altri. Non perché fosse giusto. Non perché fosse la guida di Dio a mostrare loro la strada, ma perché era ciò che quel re voleva.

Quel re pagano voleva costruire il proprio regno. Voleva il proprio potere. Non il regno di Dio, ma un regno con il suo nome sopra. Il suo potere. Il suo denaro. La sua influenza.

Ed è per questo motivo che il re dominava sugli altri, costringendoli a fare ciò che voleva attraverso l’uso del denaro. Si faceva chiamare Benefattore, ma agiva come un re al posto di Dio.

Ed è contro questo che Gesù stava avvertendo i suoi discepoli. Non fate questo. Non siate così! No, al contrario, siate come colui che serve. Non cercate di determinare chi è il più grande. Chi fa questo agisce come i re pagani perché sta cercando di costruire il proprio regno. No, al contrario, siate come colui che serve. “Fate come ho fatto io”, per parafrasare Gesù.

Gesù conferì un regno ai discepoli. È lo stesso regno di cui facciamo parte ancora oggi. Ma non è un regno in cui diventiamo i re. Gesù è il re. È lui che governa su questo regno. Egli fece dei discepoli i giudici per governare sulle dodici tribù di Israele, ma lui rimane il re. Lui è il capo. Nessuno di noi lo è, né lo sarà. Al contrario, il nostro ruolo è essere servitori. Indipendentemente da ciò che facciamo. Indipendentemente da come appariamo da una prospettiva umana. Indipendentemente dagli elogi che gli altri potrebbero darci o da ciò che gli altri sembrano dire di noi, siamo tutti e soltanto servitori alla tavola, e dobbiamo rimanere servitori alla tavola. Questo è il nostro ruolo.

Gesù venne come servitore nonostante fosse un re. Dobbiamo continuare il suo esempio e seguire la sua guida mentre lavoriamo all’interno del suo regno per la gloria di Dio.

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Tutto quello che aveva per vivere

Penso che se Gesù camminasse oggi sulla terra, ci sarebbero buone possibilità che venisse accusato di essere un zelota, un estremista o qualcosa di simile.

Basta dare un’occhiata al tipo di comportamento che celebra:

Le persone ricche della zona si recano al tempio per fare la loro offerta. Mettono alcune monete nell’offerta. È, di fatto, ciò che è richiesto. Fantastico! È una buona notizia.

Ma poi arriva una vedova che si avvicina e mette un paio di monete di rame. Praticamente nulla, ma è tutto ciò che ha, e cosa dice Gesù?

«In verità vi dico che questa povera vedova ha messo più di tutti; perché tutti costoro hanno messo nelle offerte [per Dio] del loro superfluo, ma lei vi ha messo del suo necessario, tutto quello che aveva per vivere».

Luca 21:3-4

Non sarebbe meglio se Gesù – che è anche il Dio dell’universo! – corresse a restituirle quelle due monete? O magari potrebbe prendere due monete dalla borsa comune che lui e i discepoli portano in giro e restituirle a questa povera donna?

Ma non è ciò che fa. Gesù non sta dicendo alla donna che deve mettere queste monete, ma sta certamente celebrando il fatto che lo abbia fatto. E non sta facendo alcun passo per sostituire i soldi della donna.

Infatti, Gesù prosegue dicendo che lei ha messo tutto ciò che aveva per vivere. Non ha più soldi per pagare l’affitto. Non ha più soldi per comprare cibo stasera. Cosa farà?

Non lo sappiamo, ma possiamo certamente vedere che Gesù ha lodato la donna e la sua fede. Ha certamente mostrato che ciò che questa donna ha fatto vale molto di più agli occhi di Dio rispetto a ciò che hanno messo i ricchi. I ricchi hanno depositato, in termini di valore monetario, molto di più di questa donna. Infatti, il racconto parallelo di questa storia in Marco 12 dice che i ricchi hanno messo grandi somme. Ma questa donna ha messo solo due monete di rame.

Qualcuno ha calcolato che questo corrisponderebbe, all’epoca, a circa l’1% di un salario giornaliero. In breve, era quasi nulla. Ciò che ha messo non avrebbe davvero comprato niente, eppure era tutto ciò che aveva, e lo ha dato tutto.

E Gesù dice che lei ha dato più di tutti gli altri. Ha dato più di ciascuno dei ricchi perché loro hanno dato dal loro superfluo, ma lei ha dato tutto ciò che aveva.

Questa donna vede Dio come degno di tutto. Di tutto ciò che ha. Di tutto ciò che è. Dio ne vale la pena. Non un po’. Non solo una parte. Tutto.

Ed è questo che Gesù sta celebrando. Gesù cerca persone disposte a dare tutto. Per ripetere, tutto. Non una parte, ma tutto.

Dio si prende cura di coloro che lo servono. Lui stesso è il nostro provveditore. Questa donna lo ha vissuto completamente. Ha dato, credo, con l’assunzione che Dio avrebbe provveduto per lei, che Dio le avrebbe dato ciò di cui aveva bisogno. Che conoscesse o meno gli insegnamenti di Gesù sulla provvidenza di Dio, ha vissuto veramente ciò che Gesù ha insegnato: che non dovremmo preoccuparci di cosa mangeremo o di cosa indosseremo perché Dio provvede a tutte queste cose. Questa donna ha dato tutto, tutto ciò che aveva per vivere.